Le persone positive al Coronavirus in Italia hanno superato ieri quota mille, arrivando a 1.049, a cui vanno aggiunte le 29 decedute e le 50 guarite. “I casi che oggi individuiamo e segnaliamo – ha dichiarato Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità – sono casi che hanno contratto infezioni prima che adottassimo queste misure”, mentre per il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, “il virus è ancora presente, in fase espansiva, ma siamo molto speranzosi che presto possano iniziarsi a vedere gli effetti positivi delle misure assunte una settimana fa”. Intanto le scuole resteranno chiuse per un’altra settimana non solo in Lombardia, ma anche in Veneto e in Emilia-Romagna. Per provare a tracciare un bilancio delle prime misure adottate per il contenimento del contagio e per cercare di capire come potrebbe evolvere la situazione, abbiamo fatto il punto con Walter Ricciardi, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità e consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza.



Il governo ha accolto la richiesta delle Regioni di procrastinare per un’altra settimana la chiusura delle scuole. Che cosa ha spinto a favore di questa proroga? Ha pesato anche il bilancio sull’efficacia delle prime misure adottate?

Sì, e la necessità di mantenere la chiusura delle scuole è legata al fatto che il quadro epidemiologico non è mutato rispetto alla settimana scorsa. Quindi è necessario confermare queste misure per contenere l’infezione nelle zone originarie del focolaio epidemico. È una scelta obbligata alla luce dell’evidenza scientifica a tutt’oggi disponibile.



Giovedì a Lodi si è verificata un’improvvisa recrudescenza dei ricoveri gravi, ben 51 in un solo giorno, di cui 17 in terapia intensiva. Questa recrudescenza vi ha sorpreso?

No. Proprio in funzione della numerosità dei casi era un evento prevedibile. Chiaramente questa recrudescenza un po’ va a caricare, in maniera improvvisa, le strutture sanitarie, ma anche questo era prevedibile. Adesso la Regione Lombardia si sta attrezzando, avendo capito che questo fenomeno comporterà una pressione destinata a intensificarsi nei prossimi giorni. A maggior ragione, conferma la necessità di essere molto rigorosi e di non allentare la presa.



L’Oms dichiara che il 95% degli infettati dal coronavirus guarisce. Perché allora misure emergenziali?

Il problema è il 95% di che cosa? Se questi pazienti sono pochi, allora si può in qualche modo gestire, ma se è il 95% di una cifra enorme, alla fine le strutture assistenziali vanno in tilt e quindi non c’è più la possibilità di assistere tutti adeguatamente. Noi dobbiamo assolutamente contenere il denominatore, cioè far sì che il numero dei pazienti non aumenti.

La virologa Ilaria Capua parla di un’epidemia che durerà fino a primavera inoltrata. Per quanto tempo dovremo convivere con l’infezione?

Sono d’accordo: almeno fino alla primavera inoltrata. Per esempio, la Sars, che era meno contagiosa, finì verso maggio-giugno.

Un problema che suscita apprensione è il fatto che il virus possa essere veicolato da pazienti asintomatici. È una criticità da non trascurare? E come la si affronta?

Diciamo che non parliamo sicuramente della maggior parte dei pazienti, però il fenomeno esiste e non può certo essere sottovalutato, anzi, va in qualche modo esercitata una vigilanza continua. Nel momento in cui una persona è stata in contatto con un malato, va monitorata in maniera molto attenta.

L’Istituto superiore di sanità teme che non facendo la tamponatura ai soggetti asintomatici si rischia che la situazione sfugga di mano e che aumentino i decessi. Che ne pensa?

Mi pare che lo stesso Iss abbia ufficialmente smentito. Anche perché sarebbe strano, visto che sia le linee guida dell’Oms, sia il parere del Consiglio superiore di sanità di giovedì dicono esattamente questo: in questo momento va fatto il tampone soltanto ai soggetti sintomatici e che hanno naturalmente un fattore di rischio o per contatto o per provenienza.

In Corea del Sud si è registrato il primo caso di recidiva. Questo può complicare la lotta all’infezione e al contagio?

Complica perché, di fatto, il coronavirus sembra un virus che anche dopo la guarigione clinica in qualche modo rimane latente e può ritornare. Questo ci induce a ulteriore attenzione e a ulteriore prudenza quando viene dimesso un paziente guarito.

Lei si è fatto un’idea di come abbia potuto entrare in Italia il coronavirus?

Sicuramente da una persona che, proveniente dalle zone a rischio, è entrata nel nostro paese. In più abbiamo avuto la vicenda sfortunata che il primo contatto è avvenuto in un ospedale, e come è sempre successo in casi analoghi del passato l’ospedale ha funto da moltiplicatore, perché il paziente ha contagiato altri pazienti, visitatori e medici, in una sorta di meccanismo propulsivo per lo sviluppo dell’infezione.

Al Sacco di Milano è stato isolato il “ceppo italiano” del virus, che è diverso da quello cinese. Questa scoperta può accelerare i tempi per una cura e il vaccino?

È una scoperta importante e interessante, che ci consentirà ovviamente di studiare questa variante specifica che hanno isolato a Milano per capire bene come affrontarla meglio dal punto di vista terapeutico e dal punto di vista del vaccino. Ma non saranno tempi brevi.

È un virus autoctono, nato e sviluppatosi qui nel Nord Italia, o è di derivazione cinese?

Per il momento nessuno lo può dire. Resto però del parere che derivi sostanzialmente dal coronavirus cinese.

(Marco Biscella)

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