BUENOS AIRES – In quello che pare destinato a essere il nuovo centro della pandemia Covid-19, e cioè l’America Latina, richiama moltissimo l’attenzione il caso del Perù. Il Paese andino occupa attualmente il secondo posto tra le nazioni contagiate del Continente, con 209.000 casi registrati, 5.093 decessi, ma anche 100.000 guarigioni (è importante citare questo dato per avere una situazione reale del fenomeno).
La cosa che però colpisce gli osservatori risiede nel fatto che mentre in Brasile (leader della tragica situazione) il Governo di Bolsonaro, almeno inizialmente (ma poi anche con successive teatrali dimostrazioni del suo Presidente), non ha preso misure di prevenzione, in Perù, una volta arrivato, il virus ha ricevuto una “accoglienza” fatta di una delle quarantene più strette di tutta l’America Latina, superata solo da quella dell’Argentina. Però la manovra decisa dal Presidente Martin Vizcarra è servita a ben poco, visti i numeri. E più che emergenza è stata definita una catastrofe sanitaria che ha messo l’intero sistema al limite delle sue capacità, con un’occupazione di oltre l’80% dei posti letti disponibili. Termine forse esagerato quello usato dai media locali, viste le cifre dei sistemi di salute di altri Paesi, europei inclusi, ma che riflette molto bene il panico che si è generato nell’intero Perù.
La sua storia recente è dominata dalle catastrofiche conseguenze politiche dello scandalo Odebrecht, l’impresa di costruzioni brasiliana che ha corrotto i poteri di mezza America Latina e che poi in Brasile stesso ha dato origine a quello denominato “Lava Jato” nelle cui grinfie è rimasto impigliato l’ex Presidente Lula e gran parte del mondo politico del Paese. Odebrecht si è comportato come un vero e proprio virus che in Perù non solo ha fatto strage di Presidenti passati e presenti (ben 4), ma è stato la causa che ha portato al suicidio del più conosciuto di loro a livello Internazionale (dopo Balaude Therry, politico tra i più illuminati della storia Latinoamericana): quell’Alan Garcia protagonista di ben due Presidenze di segno completamente opposto (caso non raro in Sudamerica). Un vero e proprio tifone che però, incredibilmente, ha accompagnato, nonostante la crisi politica che ha ovviamente generato, un rilancio economico del Paese con cifre “cinesi” che rendono, almeno a un primo esame, inspiegabile la diffusione del Covid.
Qui però subentra il rovescio della medaglia che in pratica è simile al caso del Cile: la situazione di benessere economico ha lasciato ai margini parte della popolazione, quella più povera ed emarginata che in Perù vive spesso isolata in contesti che paiono essersi fermati ai tempi dei Conquistadores Spagnoli o nell’immensità della selva Amazzonica. Ma il picco dei contagi si è ovviamente registrato nei grandi conglomerati urbani, dove si è assistito in questi ultimi anni, in coincidenza con l’enorme spinta economica, a una concentrazione di masse indigenti, specie nei dintorni della capitale Lima. E se prestiamo attenzione ai dati emersi nel censimento del 2017 si trova la spiegazione dell’estensione virale: solamente il 49% delle famiglie possiede un frigorifero o un congelatore, dato che aumenta al 61% in prossimità dei centri urbani, ma che rivela come, semplicemente per cibarsi (ma anche per lavorare quando la quarantena lo permette), la gran parte dei peruviani deve per forza di cose rifornirsi quotidianamente nei vari mercati, movimento che può essere considerato alla base della diffusione del Covid-19. Si sono così registrate concentrazioni massive di gente che, nonostante l’uso di mascherine, non ha potuto evitare il distanziamento sociale che è vieppiù aumentato (sempre a causa della necessità alimentare) dopo la decisione del coprifuoco adottata l’11 aprile che ha provocato, vista la chiusura forzata di molti esercizi, subbugli in tutto il Paese.
Come in Argentina, sono state adottate misure di aiuto economico da parte del Governo nei confronti delle classi più povere, ma la distribuzione male organizzata dei sussidi attraverso il sistema bancario si è rivelata in Perù un’altra miccia che ha fatto esplodere la pandemia, al contrario dell’Argentina dove invece una simile concentrazione effettuata il 2 aprile non ha per fortuna portato conseguenze a causa della debole diffusione del Covid-19 in quel periodo. Anche qui bisogna notare la completa ignoranza delle autorità nel prevenire queste riunioni di massa, visto che solo il 38% delle persone adulte ha accesso a un conto bancario e il fenomeno era altamente prevedibile. Sempre secondo l’Istituto nazionale di statistica peruviano, ben il 72% dei lavoratori opera in condizioni di economia informale (in pratica in nero) e oltre il 30% delle abitazioni del Paese è di piccole dimensioni, costringendo spesso più di 7 persone a dormire nella stessa camera.
Purtroppo fenomeni di improvviso benessere economico necessitano di anni per poter produrre condizioni di vita di qualità e in Perù siamo ancora agli inizi, al contrario dell’Argentina, dove invece, nonostante le ricchezze di cui dispone, il peronismo che l’ha governata e purtroppo continua ha ormai radicato le Villas Miserias e solo negli ultimi anni si è iniziato a migliorarle strutturalmente, uno di pochi meriti del Governo “neoliberale” di Mauricio Macri. Che però non è riuscito a completare nemmeno lontanamente l’opera intrapresa. Difatti l’aumento dei contagi di coronavirus ormai colpisce questi agglomerati che il populismo ha sviluppato in forma abnorme da più di 40 anni. Dimostrando che questa problematica sanitaria ha messo in luce situazioni purtroppo datate e che urgono di soluzioni radicali una volta che la pandemia sarà conclusa.