Una nuova ricerca condotta dall’Università di Havard, in particolare dalla Scuola di Salute Pubblica, conferma la stretta correlazione tra inquinamento atmosferico e Coronavirus: di fatto, i decessi per la pandemia da Covid-19 sarebbero effettivamente più alti (in maniera sostanziale) nelle zone in cui registrano maggiori livelli di PM 2.5, vale a dire il particolato fine che si diffrenzia da quello grossolano. Senza voler approfondire il tema, possiamo dire che il PM 2.5 è costituito da particelle di polvere che hanno un diametro aerodinamico appunto inferiore a 2.5 micrometri. E’ più dannoso perché in grado di penetrare in profondità nei polmoni, soprattutto quando si respira con la bocca. Lo studio di Harvard, come riporta anche Dagospia, avrebbe dunque stilato in maniera statistica e scientifica il fatto che questo particolato possa causare molti più problemi ai malati di Coronavirus. Un esempio? Nel solo quartiere di Manhattan l’abbassamento del livello medio di particolato di una sola unità avrebbe potuto portare a 248 morti in meno.



Sono dati impressionanti: del resto, non è certo un mistero che l’inquinamento sia nocivo a tutti gli effetti dal punto di vista della salute, e non solo per il Coronavirus (il Ministero della Salute stima che ogni anno si verifichino 30 mila decessi per il solo particolato fine). Un paio di settimane fa Silvio Berlusconi aveva già parlato di questo grave problema, ma aveva anche affermato come all’epoca non ci fosse alcuna evidenza scientifica che lo collegasse direttamente al Covid-19. Tuttavia, negli ultimi giorni i social e alcuni quotidiani hanno pubblicato una ricerca italiana che sarebbe arrivata a dimostrare questo collegamento; adesso da Harvard ne arriva una conferma, e stiamo parlando di uno studio che ha preso in oggetto ben 3080 contee degli Stati Uniti e, di conseguenza, un campione statistico abbondante e sufficiente a trarre delle conclusioni attendibili.



Come riporta il Ministero della Salute in Italia, l’esposizione cronica al particolato fine incrementa il rischio di tumore alle vie respiratorie, oltre ad essere fortemente legato ad alterazioni della funzionalità respiratoria che possono portare a ricoveri in ospedale e morti nei casi più grave. Nel nostro Paese però la ricerca della Sima non è stata ancora sottoposta al controllo di peer review né stata ancora pubblicata: lo studio incrociato dei dati Arpa sullo sforamento dei limiti di PM10 (quindi qui si parla di particolato grossolano) e i contagiati da Coronavirus tra il 10 e il 29 febbraio ha rivelato la correlazione, che era già stata evidenziata in ricerche passate sull’influenza aviaria (prendendo in esame le tempeste di sabbia) e anche casi di morbillo in alcune città della Cina. Dunque un legame sembrerebbe esserci, anche se la conclusione per il momento è che non ce ne sia la certezza; tuttavia, come si diceva in precedenza, è chiaro che l’inquinamento di per se stesso possa essere un fattore peggiorativo del Coronavirus.

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