Da una parte il responsabile della protezione civile Angelo Borrelli che lancia una non tanto velata accusa al corpo medico: “C’è stata una non conoscenza dei sanitari, che non sono stati in grado di riconoscere i sintomi del virus. Non è un problema di quantità di test. Ci sono state situazioni in cui non si è stati in grado di riconoscere immediatamente i sintomi del virus”. Dall’altra Maria Rita Gismondo, direttore responsabile di Macrobiologia clinica, virologia e diagnostica bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano, nel cui laboratorio vengono analizzati da giorni i campioni di possibili casi di coronavirus, che ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Il nostro laboratorio ha sfornato esami tutta la notte. In continuazione arrivano campioni. A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così. Questa settimana sono morti in Italia 2 pazienti a causa del coronavirus e 24 per influenza. Rispettivamente 50 casi positivi e 656.000… Per me c’è un chiasso eccessivo”.
Infine il premier Conte che promette che “l’Italia non diventerà un lazzaretto”. Intanto Milano chiude: stadi, scuole, università, uffici pubblici e i supermercati vengono presi d’assalto. Addirittura l’arcivescovo sospende tutte le messe domenicali. La confusione è grande come la paura. Ne abbiamo parlato con il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, in prima linea, occupatissimo nell’impresa che, con buona pace di Borrelli, sta impegnando con sacrificio e grandissimo impegno tutto il corpo medico della Lombardia e del resto d’Italia: “Agiamo come nel caso di un incendio, come è stato fatto in Australia, facendo terra bruciata intorno all’area in cui divampa il fuoco. Le misure d’emergenza prese dalle autorità sono obbligatorie”.
Professore, ha sentito il commento di Angelo Borrelli sulle responsabilità dei medici?
Che il virus arrivasse in Italia si sapeva. Sicuramente la difficoltà di una diagnosi differenziale rispetto a polmoniti normali c’è stata, ma per un virus del genere, che non si differenzia da una normale influenza, è pacifico che sia stato così. Non c’è stato quel guizzo a individuarlo immediatamente, però sono cose che si dicono con il senno di poi.
Ha letto invece il post della dottoressa Gismondo che invita a non farsi prendere dal panico, che siamo davanti a una influenza che fa meno vittime delle usuali influenze?
Come sempre abbiamo tutti ragione. È vero quanto dice la dottoressa, che questa patologia nella maggior parte dei casi è banale: dei 130 casi circa registrati non ci sono serietà tali da giustificare il panico. Lei ha voluto rimarcare di non rilanciare paure eccessive e ha ragione.
Manca sempre il famoso paziente zero, lei che idea si è fatto?
Non troviamo pazienti zero perché probabilmente questi sono stati benissimo oppure hanno avuto una manifestazione clinica non rilevante. Infatti la dottoressa Gismondo vuole sottolineare anche il fatto che i pazienti siano asintomatici. Vuol dire che c’è una possibilità che il soggetto sintomatico sia quello più contagioso, gli altri lo sono sempre meno. Per un soggetto sintomatico presumibilmente c’è meno probabilità di infezione, è un fatto statistico. Noi infatti abbiamo visti casi nella fase finale dell’incubazione.
La contemporaneità dello scoppio del virus in luoghi lontani, Veneto e Lombardia, invece come la spieghiamo?
La sfortuna. Quei casi che stiamo vedendo sono la punta dell’iceberg, quelli che non erano stati riconosciuti nella fase iniziale, questo è quello che voleva dire Borrelli.
Un virus mistificatore?
Esatto. In giro ci sono più persone che sicuramente non si pensava potessero essere colpite dal virus. Magari un cinese, magari un italiano che è stato in quelle zone, qualcuno che si è infettato nella fase iniziale, è venuto serenamente senza alcun sintomo in Italia. Ha preso una influenza ed è già guarito, però ha infettato due o tre persone che gli stavano vicino e queste sono andate in quel bar dove c’era l’anziano poi deceduto. Ecco la ricostruzione più seria.
Dal punto di vista medico, cosa ne pensa delle misure eccezionali di sicurezza che sono state prese?
Sono necessarie. Come negli incendi bisogna agire alla radice, come hanno fatto in Australia, se non si fa subito arriva l’impossibilità di contenere la diffusione del virus. Le istituzioni devono essere essere muscolari a prendere decisioni perché altrimenti lo scenario che si può prefigurare è quello dell’influenza spagnola che fece milioni di vittime. La malattia per qualcuno è grave, ma in percentuali bassissime, poi diventa rilevante il rischio che se aumenta la circolazione si arriva a una esplosione incontrollabile.
Che scenario prossimo dobbiamo aspettarci?
Ci saranno altri casi non gravi, una possibilità di dispersione a livello nazionale. La speranza è che non ci sia una concertazione di casi, adesso siamo in una fase di dubbio rispetto alla mitigazione.
Cosa significa?
Controllo dal punto di vista medico vuol dire spegnere il focolaio, mentre la mitigazione è far defluire i casi. In questo caso si applicano i piani strategici che già ci sono in tutti gli ospedali.
(Paolo Vites)
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