Il Coronavirus è una punizione di Dio contro l’uomo? La Civiltà Cattolica dedica un ampio e approfondito articolo per confutare questa domanda così delicata, partendo dalle parole di Papa Francesco nella preghiera straordinaria con Benedizione Urbi et Orbi del 27 marzo scorso, che tutti ancora ricordiamo per quella Piazza San Pietro deserta e piovosa: “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite, riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi.
Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo, siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa”. La Civiltà Cattolica condanna i “profeti di sventura” che manipolano la Bibbia cercando di avvalorare la tesi del Coronavirus come “punizione di Dio adirato contro un mondo peccatore” estrapolando dal loro contesto i versetti che potrebbero aiutare a sostenere questa tesi:
“Essi citano versetti contro qualsiasi cosa urti la loro sensibilità e infieriscono a colpi di Scritture su un’umanità già ferita e sanguinante. Talvolta sembra quasi di avvertire la soddisfazione con cui citano passi che descrivono piaghe e catastrofi scagliate da un Dio permaloso su un mondo che ha bisogno di essere punito”.
CORONAVIRUS PUNIZIONE DI DIO? NO A PROFETI DI SVENTURA E MORALISTI
La Civiltà Cattolica condanna anche i “moralisti del «te l’avevo detto»“, colpevoli a loro volta di setacciare le Scritture “in cerca di testi che consentano di predicare con autorità le loro convinzioni circa ciò che è giusto a un mondo che finalmente dovrà riconoscere che la loro è davvero la ricetta per un domani migliore”. Profeti di sventura e moralisti del «te l’avevo detto» commettono lo stesso errore: “sembrano irrefutabilmente convinti” che la crisi del Coronavirus rientri “in un modello biblico di castigo o rimprovero divino“.
Certo, sfogliando tutta la Bibbia non mancano episodi inquietanti, come pestilenze o punizioni divine, come quando si legge che “L’ira del Signore si accese di nuovo contro Israele” (2 Sam 24,1), in riferimento al censimento ordinato dal re Davide ignorando la legge che imponeva la raccolta di denaro per il Tempio in occasione di un censimento. Dio impose allora a Davide di scegliere fra tre anni di carestia, tre mesi di fuga inseguito dai suoi nemici o tre giorni di peste.
Il re chiese solo di non cadere nelle mani dei nemici e in tre giorni di pestilenza sarebbero morte “settantamila persone”, fino a quando Davide si assunse la responsabilità del suo peccato. La convergenza tra peccato e ira, tra offesa e conseguenze nefaste è “perfetta” per i profeti di sventura – e d’altronde ciò potrebbe essere valido in occasione di ogni altra calamità naturale e umana.
CORONAVIRUS PUNIZIONE DI DIO? LA SVOLTA DEL NUOVO TESTAMENTO
Si vuole dunque applicare ancora la visione, tipica di buona parte del Vecchio Testamento, che tende a riferire tutto a Dio come causa prima e a collegare ogni avversità con un precedente peccato commesso, dal singolo o da altri. La Civiltà Cattolica ricorda però che già successivi testi profetici (ad esempio Ezechiele) indicheranno che “ciascuno paga soltanto le conseguenze del proprio peccato”, fino a quando sarà Gesù stesso a contraddire questa logica religiosa di stretta dipendenza tra colpa e castigo – come dimostra la sua risposta nell’episodio del cieco nato, quando i discepoli chiesero al Maestro chi avesse peccato “perché egli nascesse cieco”.
La peste d’altronde compare anche nell’Apocalisse: nel capitolo 16 una serie devastante di pestilenze viene scagliata contro un popolo peccatore. Di nuovo si potrebbe desumere la “punizione divina inflitta a un mondo senza fede”. In realtà però l’Apocalisse si basa “sulla profonda fede nel fatto che Cristo ha già vinto la battaglia, e alla fine sconfiggerà il male, anche se lo scontro durerà a lungo”.
Essa richiede una risposta, che non si risolve in una cupa profezia di sventura: “Tutto dipende da come i credenti trasformano la propria vita alla luce della consapevolezza che alla fine Cristo sarà vittorioso. Essi devono impegnarsi attivamente nel rendere testimonianza e a cambiare il mondo con risolutezza. È un appello ad agire, a contribuire a costruire il Regno attraverso l’imitazione di Gesù, mite agnello immolato per la salvezza del mondo”.
CORONAVIRUS PUNIZIONE DI DIO? IL COMPITO DEI CRISTIANI
Il libro dell’Apocalisse spinge dunque “a una fede sempre più profonda, a una conversione sempre più profonda, a una sempre più profonda nostalgia del regno di Dio”. In tempi di Coronavirus, la Chiesa “è chiamata a non assecondare una cultura dominante, intrisa di paura, di accuse, di chiusure e di isolamento. Se il mondo offre una visione del futuro costruita sulla paura, la Chiesa, invece, ispirandosi alla Bibbia e al libro dell’Apocalisse che la conclude, offre una prospettiva diversa, animata e fondata sulla certezza della Buona Notizia della vittoria di Cristo“.
Il discepolo di Gesù deve dunque “irradiare la certezza che il tempo delle tenebre è limitato, che Dio sta venendo e che la Chiesa è chiamata con la preghiera e la testimonianza a preparare questa venuta”. Bisogna dunque esortare alla conversione un mondo in crisi, non lanciarsi in un giudizio moralistico o in una profezia di sventura. Questo è il compito del cristiano e in generale della Chiesa in tempi di Coronavirus, a maggior ragione davanti a chi si chiedesse se esso è una punizione di Dio, che invece “non ha permesso, non permette e non permetterà mai al peccato, all’oscurità e alla morte di prevalere“.
Papa Francesco ha saputo comunicare la Buona Notizia, ribaltando la tendenza a vedere la crisi come un giudizio di Dio e rivolgendosi al Signore ha detto: “Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri”.