“Bisogna evitare che i lavoratori autonomi, le piccole attività e comunque i settori trainanti falliscano per mancanza di liquidità”. Non bastano esenzioni e rinvii delle scadenze, “bisogna cancellare il prelievo fiscale per un certo periodo” dice Carlo Cottarelli. Il coronavirus minaccia di sprofondare i paesi europei in una recessione mai vista. Il presidente dell’Osservatorio sui conti pubblici interviene sul caso Lagarde e sollecita politiche di bilancio in deficit. “La crisi è europea, nel 2008-09 le regole europee sono state interpretate in modo benevolo per tutti. Facciamolo anche adesso”.



La Bce ha potenziato il Qe con 120 miliardi supplementari di acquisti in 8 mesi. Nessun taglio dei tassi. Le sembra bastare?

Si poteva fare di più. Ma l’ultimo board non è stato così disastroso come lo si è dipinto. Nel pacchetto varato ci sono cose importanti che non sono state citate. Questo è stato il vero errore di comunicazione.



Partiamo da ciò che sappiamo.

120 mld sono pochi, perché vuol dire 13 mld in più al mese rispetto alle cifre già stanziate. In totale si passa da 20 a 33 mld. In una situazione di emergenza sono pochi. Quando il Qe è stato introdotto, la Bce faceva acquisti per 80 mld al mese. Immagino che Lagarde abbia tenuto “munizioni” per una fase successiva.

Che cosa non ha detto invece la presidente della Bce?

La parte della Bce che si occupa di supervisione e regolamentazione bancaria, il Single Supervisory Mechanism, guidato da Andrea Enria, ha deciso di allentare i criteri che legano il capitale proprio delle banche ai prestiti erogabili. Prima le banche potevano prestare meno di adesso, ma questo Lagarde non lo ha detto.



E poi quel “non tocca a noi ridurre gli spread”. Può un’ex presidente del Fmi non sapere che cosa comportano simili dichiarazioni?

Questo passaggio è stato un aspetto delicato e preoccupante, perché è parso negare ciò che la Bce aveva innovato nel 2012. La Bce di Draghi introdusse  uno strumento, l’Omt, che consente alla Bce di intervenire per far calare gli spread. Dire che non è affar suo abbassare gli spread quando c’è uno strumento ad hoc, è stato davvero strano.

Che idea si è fatto?

Le ipotesi sono due. O è stata un’amnesia, oppure tutto ciò riflette un cambiamento di linea preoccupante.

Secondo lei?

Vedremo. Non vorrei che fosse il secondo caso. Ci tengo però a sottolineare una cosa importante. Il programma Omt avviene sotto condizionalità. Occorre che il paese candidato all’acquisto di titoli di Stato chieda un programma e un finanziamento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). In tal caso i soldi del Mes possono essere integrati con gli interventi potenzialmente infiniti della Bce.

Secondo lei l’Italia dovrebbe sottoscrivere la riforma del Mes, un trattato-capestro che potrebbe renderci debitori fino a 125 miliardi nei confronti di una banca sovrana?

Il Mes è un organismo sovranazionale, come il Fondo monetario (Fmi). Che sia capestro, come dice lei, è tutto da discutere. Il programma può essere anche molto morbido, soprattutto in una situazione di emergenza. Le iperboli non servono. Quello che c’è nel programma dipende dalla situazione del paese.

Il Mes ci presterebbe denaro a tassi più bassi, ma in cambio del totale controllo della nostra politica economica.

No, questi eventuali interventi vengono discussi e negoziati e possono essere più o meno morbidi a seconda delle condizioni.

Dovremmo o no prendere a prestito soldi dal Mes?

No, in questo momento non serve. Ci stiamo rifornendo sui mercati a tassi di interesse bassi: venerdì il tasso del Btp a 10 anni ha chiuso all’1,8%. Nel 2011-12 il tasso era arrivato oltre il 7%. Quella è una situazione di emergenza. In questo caso sì che dovremmo bussare alla porta altrui.

Von der Leyen ha parlato di massima flessibilità sul Patto di stabilità. Non andrebbe rivisto il Patto stesso?

In condizioni di emergenza si può sforare il 3% del rapporto debito/Pil, perché le clausole del Patto lo consentono. Soprattutto se la crisi è europea, come oggi. Alcune regole europee consentono di sospendere l’aggiustamento, ma questo non ci deve bastare.

Cosa ci serve?

Una forte spinta espansiva. Questa ci sarà senz’altro e le regole europee non lo impediscono. Torniamo indietro di 10 anni: quando nel 2008-2009 c’è stato lo shock globale, quale Paese è rimasto sotto il 3%? E quale Paese è stato penalizzato per le regole europee? Nessuno.

Non pare però che le regole europee siano interpretabili con grande flessibilità. Forse dipende dagli interpreti, non molto benevoli con i modelli economici diversi da quello tedesco, non crede?

Nel 2008-09 sono state interpretate in modo benevolo per tutti. Alcuni paesi sono andati di diversi punti percentuali sopra il 3% e poi sono rientrati dopo parecchi anni.

La crisi colpisce tutta l’Europa. Qual è la strada da intraprendere?

La crisi attuale e lo scenario prossimo venturo si innestano in una situazione precedente già recessiva. Questo è il momento di rilanciare il progetto europeo. Come? Emettendo eurobond; facendo deficit europeo, con l’obiettivo di rilanciare un programma di investimenti su scala europea; introducendo un sussidio di disoccupazione a livello europeo. Sono queste le misure necessarie.

Ma lei vede la volontà politica di attuarle?

Dieci anni fa non c’era nemmeno la volontà politica di creare il Mes, che poi ha finanziato tanti Paesi in crisi. I momenti di crisi servono a trovare una nuova volontà politica.

Chi potrebbe placare i mercati, se la situazione dovesse peggiorare?

In una situazione di grande emergenza occorre un intervento esterno e chi può farlo sono il Mes e la Bce. Per facilitare il loro intervento, però, servono riforme.

Di quali riforme parliamo?

Dovremmo migliorare il funzionamento del settore pubblico, ridurre la burocrazia, avere una giustizia che funziona meglio. Se poi riusciamo a risparmiare sul lato della spesa nel medio periodo – evidentemente non adesso, in questa fase drammatica –, sarebbe utile abbassare il livello della tassazione. Se torniamo a crescere, quello è il momento per ridurre il rapporto debito/Pil mettendo da parte le risorse pubbliche derivanti dalla maggiore crescita.

Per fare le riforme ci vuole una maggioranza politica omogenea. Quella attualmente al governo non sembra esserlo.

Nei momenti di emergenza si cambia idea e si lavora insieme.

Serve un governo istituzionale?

Bisogna vedere cosa si intende per governo istituzionale. Ci vuole un governo che faccia le riforme.

Superata l’emergenza, è un’illusione credere che l’Italia riparta così come si è fermata. Cosa bisogna fare per aiutare i settori dell’economia più colpiti?

Bisogna evitare che i “piccoli” e comunque i settori trainanti falliscano per mancanza di liquidità. Non serve una posticipo della tassazione; in alcuni casi bisognerebbe cancellare il pagamento delle tasse per un certo periodo. E poi occorre ricreare la domanda.

Come?

Non con un provvedimento che metta soldi in tasca agli italiani colpiti dalla crisi perché li spendano. Sarebbe un errore: in questo momento di forte incertezza, risparmierebbero. Vanno rilanciati gli investimenti: si facciano ripartire subito i cantieri chiusi.

Si sta parlando molto dei tagli alla sanità fatti negli ultimi anni. Lei è stato commissario alla spending review; cosa ne pensa?

Come commissario avevo comandato un risparmio di 2 mld in sanità, ma non era un taglio vero, perché si inseriva in una tendenza di crescita della spesa. I tagli successivi sono stati molto più ampi. L’Osservatorio sui conti pubblici ha pubblicato sabato una nota in cui si fa vedere che cosa è successo davvero alla spesa sanitaria.

Ci dica.

È aumentata molto rapidamente tra il 2000 e il 2010, poi è rimasta ferma per 5 anni intorno ai 110 mld, quindi ha ricominciato a crescere, con una previsione per quest’anno intorno ai 119 mld che ovviamente precede le spese aggiuntive imposte dal coronavirus. Tra il 2010 e il 2015 la spesa è rimasta costante, con il risultato, al netto dell’inflazione, di ridursi nel potere d’acquisto. Ma nulla a che vedere con i 40 mld di cui si legge sui giornali.

(Federico Ferraù)

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