E così il mare in tempesta ci sta (forse, speriamo) costringendo a sbarcare dalla Nave dei folli. La tempesta è naturalmente l’epidemia da Coronavirus. Improvvisamente scopriamo la fragilità: certo, quella dei  sistemi economici, politici, tecnici, che non sono mai perfetti; e più profondamente la fragilità della persona, infinitamente bisognosa, la cui figura ideale non è dunque superman ma il mendicante.



Il potere promoziona (e noi volentieri ci stiamo) l’illusione della non fragilità, alimentata dal possesso e dal consumo di beni e di cui si fa garante ultimo il potere stesso. Si tratta di false, falsissime sicurezze – che, infatti, vanno a pezzi in un puff – costruite su una zampe d’argilla. Ad esempio: la narrazione al posto della conoscenza, la rendita invece del lavoro,  l’io opposto all’altro, i diritti dominanti sui doveri. Insomma, su quello che Giorgio Gaber chiamerebbe una falsa coscienza.



Narrazione vs. Conoscenza: la gran macchina della comunicazione retorica, in cui i politici la contano su in versione adattata a raccattare consensi, i media ad alzare l’audience e gli intellettuali a indossare le piume del pavone. Se poi montiamo il tutto nei social… Ci va di mezzo il rapporto con la realtà. L’abbiamo visto bene soprattutto nei primi giorni del virus. Abbiamo visto anche che l’overdose di informazione non chiarisce ma disorienta. Ora, mossi dall’emergenza, cerchiamo di capire più che di prendere partito.

Rendita vs Lavoro. Siamo con la Grecia la società in cui il numero di quelli che lavorano è molto minore degli altri e insieme una società (complessivamente) di consumi opulenti; si pensa di vivere bene senza lavorare o far soldi con i soldi. Düra minga, düra no, non può durare. Ci accorgiamo che niente è scontato e infinito,ì: né gli scaffali pieni, né i posti letto in rianimazione.



Io vs Altro. L’altro sentito come minaccia e come nemico. Il bene mio in concorrenza con quello altrui. Il contagio è vero che spinge a evitare contatti e ridurre i rapporti, ma è anche vero che richiede reciprocità di rispetto, attenzione e aiuto vicendevole. Isolati in casa, cominciamo a desiderare l’altro.

Diritti vs Doveri. L’atteggiamento di chi dà per scontato che tutto gli sia dovuto, specie dallo Stato; lamento e recriminazione in luogo della corresponsabilità, della gratuità e della stima delle istituzioni. Mettiamola così: godiamo di beni che diamo per scontati e beneficiamo del contributo di tanti che, nella fragilità, si donano. E rischiano.

Dobbiamo guardare e imparare da questi esempi. Un sistema sanitario che gli Usa si sognano; e, dentro, l’abnegazione di medici e infermieri. Volontari che continuano, con tutte le cautele, a prestare servizio nella Croce Rossa o ad aiutare i poveri nelle Caritas e affini. Giovani che si offrono di fare la spesa per gli anziani del condominio. Nonni che valgono ognuno migliaia di euro al mese in prestazioni gratuite: dove ficcheremmo sennò i bambini a casa da scuola?  Gruppi e comunità cristiane che la messa imparano a desiderarla anziché sopportarla abitudinariamente; fedeli cui la comunione eucaristica manca per davvero; cui manca la compagnia al destino dei fratelli nella fede, e vengono buoni i social non per vacuo cazzeggio o rissosi duelli, ma per comunicare davvero; preti che ritornano all’essenziale, il sacrificio di Cristo, magari trasmesso in streaming sui social nella sua essenzialità liturgica,  priva delle superfetazioni kitsch chiamate “animazione”. E, spesso, la riscoperta della convivenza famigliare.

Sono tutte forme di sostegno alla nostra fragilità e lenimento delle nostre paure. Forme di presenza tanto più percepita quanto più, magari giocoforza, il proprio umano è vissuto senza schermi e finzioni. Così la fragilità, insegna per esempio il grande Eugenio Borgna, è una risorsa (cfr. ad esempio tra le sue opere, La fragilità che è in noi, 2014 e  Le passioni fragili, 2017; v. anche l’intervista su Tracce n. 10/2018 “Lessico dell’anima”. Perché abbiamo la possibilità di aprire gli occhi. E magari anche le porte, accogliendo lo spettacoloso invito con cui Giovanni Paolo II aprì il suo pontificato, nel 1978:  “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa ‘cosa è dentro l’uomo’. Solo lui lo sa!”.

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