L’emergenza coronavirus richiama donazioni importanti: di per sé un’ottima notizia, rara in giorni di bollettini catastrofici; anche se non inattesa in un Paese di grande cultura solidale come l’Italia.  Scende in campo la liberalità delle grandi istituzioni: 100 milioni da Intesa Sanpaolo, 20 da Unipol. Oppure quella delle grandi dinastie imprenditoriali: Silvio Berlusconi, Yaki Elkann, le famiglie Caprotti e Lavazza, i tycoon della moda Giorgio Armani e Dolce & Gabbana; il patron di Moncler Remo Ruffini e molti altri. Vengono riproposte le classiche sottoscrizioni pubbliche dei giornali, cui oggi si affiancano quelle innovative come quella lanciata dagli influencer Fedez e Chiara Ferragni, che hanno raccolto in pochi giorni 3,8 milioni da 191mila donanti su una piattaforma di crowfunding



Fra i mille rivoli delle generosità non manca qualche caso meno mecenatistico ma non meno importante. E tipicamente anonimo: come l”imprenditore bergamasco che – ha raccontato il primario pneumologo del Giovanni XXIII di Bergamo, Fabiano De Marco – in ventiquattr’ore, fra sabato 7 e domenica 8 marzo, ha raddoppiato i 20 respiratori di cui disponeva il reparto quasi sommerso di ricoverati gravi. Non siamo certi che quell’imprenditore caricherà di margine di profitto la sua fornitura, in tutto eccezionale. Ma se lo facesse  – e sarebbe corretto lo facesse – sarebbe anche corretto chiedersi se quella commessa non meriterebbe di essere tax free.



Il decreto Cura Italia non prevede nulla di lontanamente vicino. Un’azienda così, con un fatturato probabilmente superiore ai due milioni, ha invece dovuto rispettare tutte le scadenze fiscali e contributive entro venerdì 20 marzo: con quattro giorni di caso regolamentare. E non un euro dei 25 miliardi spesi tutti e subito dal Governo nella manovra straordinaria anti-coronavirus arriverà probabilmente a un’impresa che ha dato un contributo di primo livello alla disperata “battaglia di Bergamo”.

Per i donatori finanziari mirati all’emergenza coronavirus il Governo ha previsto un abbattimento fiscale significativo (30%), ma solo entro il limite di 30mila euro. La sussidiarietà fiscale è stata dunque del tutto ignorata: non sorprendentemente da una maggioranza di Governo che ha ostentatamente rilanciato lo statalismo assistenzialista. Ed è una prospettiva che abbraccia già la gestione degli appalti per l’emergenza sanitaria e le basi della futura recovery. Qui appare sintetica la figura di Domenico Arcuri, il capo di Invitalia nominato commissario per l’emergenza e già preconizzato come possibile amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti. È infatti sul tavolo del Commissario e della Protezione Civile per eccellenza, ha postato la sua donazione: mossa peraltro ineccepibile per il primo gruppo bancario del Paese. Altri – anzitutto Berlusconi – hanno invece indirizzato la loro liberalità all'”Ospedale della Fiera”, cioè all’incubatore simbolico del “modello Bertolaso“: anch’esso  proiettato al dopo-epidemia.



Basta questo per  individuare quanto forte e profondo sia il gioco delle tensioni e delle pressioni a livello politico-finanziario: fra Nord e “Resto d’Italia”, fra centrodestra, Pd (forte di teste di ponte nella grandi città) e M5S, che si va rinchiudendo nelle sue “Due Sicilie”. I confini (anzitutto fiscali) fra finanza pubblica e privata, fra donazione e “investimento”, fra banca e mercato, fra credito e impresa sono tornati mobili e non è chiaro come si risolidificheranno.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori