I casi di coronavirus tornano ad aumentare in Italia, crescono leggermente anche i ricoveri (compresi quelli in terapia intensiva), ma non c’è motivo di essere preoccupati. Lo sostiene il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo. «La fase epidemica in Italia è sostanzialmente finita», dichiara oggi al Corriere della Sera. Questo non vuol dire che non ce ne sarà un’altra, «ma che è improprio parlare di seconda ondata». L’Italia, spiega Remuzzi, ora è entrata nella fase di sorveglianza, quella in cui si cercano accuratamente i contatti di persone positive al coronavirus. «Il numero dei positivi non è una voce alla quale guardare con paura», anche perché più casi si cercano, più positivi si trovano e meglio si contiene il problema. «Peraltro, ormai abbiamo test capaci di rilevare anche la presenza di frammenti di Dna virale, ma non è detto che appartengano ancora a un virus capace di contagiare». Per il professor Remuzzi, dunque, l’autunno sarà migliore di quel che si pensa, ma a condizione che vengano usate mascherine e distanziamento.



REMUZZI “NON SIAMO IN PIENA FASE EPIDEMICA”

«Oggi i dati ci dicono che il rischio di infettarsi è simile a quello di cadere in motorino e minore di quelli che si corrono durante una immersione subacquea. A febbraio e marzo era ben diverso. Eravamo nel pieno della fase epidemica». Per spiegare il suo ottimismo il professor Giuseppe Remuzzi nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera cita uno studio pubblicato su Lancet e firmato da Gianfranco Alicandro e Carlo Lavecchia, dell’Istituto nazionale di Statistica e dell’Università di Milano, da cui è emerso «come nella prima quindicina di maggio del 2020, nella seconda e in tutto giugno, non ci sia stato eccesso di mortalità rispetto all’anno precedente». Ma Remuzzi ha parlato anche delle strategie per combattere Covid-19. E gli anticorpi non sono per lui l’unica arma su cui puntare (oltre ovviamente al vaccino): bisogna puntare sulle cellule T, quelle della memoria. «Gli anticorpi spariscono rapidamente. L’immunità invece si creerà così, con le nostre cellule della memoria, grazie a proteine di altri virus, anche quello del raffreddore, oppure a vaccinazioni che già abbiamo fatto».



“TAMPONI PER TUTTI? NO, MEGLIO SELETTIVI”

Non poteva mancare una riflessione sul tampone: il professor Giuseppe Remuzzi si dice contrario all’idea di farne a tutti. «Io credo che invece vada fatto in modo selettivo. Non alimentiamo psicosi da tampone. Facciamoli dove servono», dice il direttore dell’Istituto Mario Negri di Bergamo al Corriere della Sera. Il riferimento è agli ospedali, Rsa, lavoratori del trasporto pubblico, insegnanti e personale scolastico. Più che il numero dei positivi è importante ora quello dei tamponi: «Dimostra che siamo nella fase della sorveglianza, e in qualche modo è l’ammissione implicita che siamo usciti dall’epidemia». Sulla scuola, peraltro, Remuzzi è tranquillo: «Le stiamo aprendo in condizione di grande sicurezza». La discussione sulla scuola però non è stata affatto tranquilla in queste settimane, eppure potevano essere presi gli esempi di Paesi dove c’è stata già la riapertura. «Come in Germania. Come in Usa, dal primo giugno. Hanno analizzato un milione e seicentomila bambini: solo settanta positivi. Sotto i 15 anni. Dai sedici in su sono come gli adulti».

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