In questi giorni si discute molto nei palazzi del Governo e della politica nazionale e regionale, tra gli operatori economici e finanziari e nelle case degli italiani, su quando scatterà la tanto preannunciata quanto poco precisata “fase 2” dell’emergenza coronavirus. Quella, per intenderci, che dovrebbe portare ad una parziale ripresa delle attività lavorative, le produttivamente più necessarie e/o socialmente rilevanti per la vita personale, familiare ed economica nel nostro Paese, ma che non sono gestibili in home working o remote working (se lo fossero, si eviterebbe la copresenza di lavoratori, clienti o utenti in uno stesso luogo e al medesimo tempo).



Il centro di gravità della questione della data di avvio della seconda fase della “operazione Covid-19” è la considerazione di benefici versus rischi. E, come sempre nelle decisioni politiche, l’ago della bilancia dipende dai pesi e dai contrappesi. Nessuno, per ora, è in grado di prevedere con ragionevole credibilità la data, anche se i più attenti osservatori la collocano tra fine aprile e i primi di giugno, se non intervengono in queste settimane fattori negativi rispetto all’attuale andamento della curva epidemica. Ciò che dovrà essere decisivo per fissare la data – e il tavolo tecnico istituito ad hoc a Palazzo Chigi sta studiando questo – è il verificarsi di cinque condizioni che rendono questo parziale sblocco della attività a bassa o media intensità di relazionale fisica non foriero di una vanificazione dei sacrifici finora chiesti agli italiani per la tutela del bene personale e sociale che è la salute.



1. La prima condizione è di natura epidemiologica. La probabilità statistica (probabilità a posteriori) che il virus si diffonda attraverso la prossimità fisica nella popolazione generale a rischio – composta da chi ritornerà al lavoro e chi resterà a casa, dai fornitori e dai clienti, da chi presta un servizio e dagli utenti dei servizi riaperti, e da chi coabita con queste categorie di soggetti o li frequenta abitualmente – deve essere scesa al di sotto di una soglia critica legata al tasso di riproduzione dell’infezione, l’ormai divenuto famoso R0.

Se il valore di R0 è inferiore a 1 (cioè, in media, cento cittadini infetti provocano l’infezione in meno di cento altri cittadini), l’epidemia sta frenando progressivamente fino ad arrestare la diffusione del contagio perché il numero dei completamente guariti (negativizzati per il coronavirus e anche non più infettivi) supererà con uno scarto sempre crescente il numero dei nuovi contagiati, che tenderanno così a ridursi sempre di più. Se la “fase 2” dell’emergenza coronavirus inizia quando R0 è sicuramente e stabilmente minore di 1 nelle Regioni interessate dal nuovo provvedimento, e si verificano le condizioni sotto elencate, la ripresa parziale delle attività lavorative e sociali più urgenti non influirà negativamente sulla scomparsa del fenomeno epidemico, che continuerà ad attenuarsi lungo un periodo di tempo dalla durata imprevedibile ma dall’esito certo: la fine della prima onda di contagio da coronavirus (questo non esclude, come gli epidemiologi della Covid-19 ipotizzano, che una o più successive onde di contagio da coronavirus possano ripresentarsi, verosimilmente dopo l’estate o nel prossimo inverno e con minore dirompenza). In questo modo, usciremo dalla presente crisi pandemica e dal pericolo che essa rappresenta per la salute dei cittadini e la tenuta del sistema sanitario nazionale.



2. La seconda condizione è di natura organizzativa. La ripresa parziale delle attività di più persone contemporaneamente presenti in uno stesso luogo (sia esso di lavoro, di servizio, di passaggio o di trasporto) dovrà avvenire secondo modalità e procedure attentamente studiate e rigorosamente predeterminate al fine di minimizzare i contatti interpersonali ravvicinati e proteggere dalla potenziale trasmissione del coronavirus – attraverso idonei dispositivi individuali (mascherine, guanti monouso o altro) – tutte le persone che vengono a trovarsi insieme ad altre nei luoghi di lavoro, di commercio, di stazionamento o di movimento.

Modalità e procedure che, nella loro articolazione pratica, dipenderanno dalla tipologia della situazione a potenziale rischio di contagio (per esempio, in funzione della volumetria degli ambienti, del numero di soggetti contemporaneamente presenti, della durata della loro copresenza, della movimentazione richiesta, e della distribuzione e assunzione o meno di cibi e bevande in luoghi pubblici o riservati). Se questa condizione non viene rispettata, anche partendo da un R0 inferiore all’unità nella settimana di partenza della “fase 2”, il rischio di una inversione di tendenza della curva epidemica è molto elevato.

3. Una terza condizione è quella logistica. Per poter realizzare la precedente, serve che sia garantita in tempi congrui agli imprenditori, agli amministratori, ai gestori dei servizi, ai lavoratori, ai clienti e agli utenti la effettiva disponibilità (nel numero e nella tipologia idonei) di tutti i mezzi e gli strumenti operativi necessari per organizzare le attività che si intende far ripartire nella “fase 2” secondo le modalità e le procedure di sicurezza previste per ciascuna di esse.

La disponibilità finanziaria per coprire i costi della riorganizzazione del lavoro e dei servizi sociali, quella dei materiali necessari per svolgere in sicurezza le attività e per la protezione individuale (tutte in quantità e di qualità richiesta), e quella delle competenze per usarli correttamente deve essere prevista e garantita sin dall’inizio dell’attività da chi ne ha la responsabilità in quanto soggetto pubblico o privato cui fa capo l’attività stessa, e non lasciata alla improvvisazione “fai da te” di chi è sul campo. A titolo di esempio (tristemente noto per fatti recentemente accaduti), l’approvvigionamento di mascherine, guanti monouso in vinile o nitrile e altri dispositivi di protezione individuale deve essere garantita con cadenza regolare a tutte le imprese e i servizi che ripartiranno, senza interruzioni di forniture. I lavori per adeguamento impiantistico (per esempio, nei sistemi per il ricambio dei volumi di aria) oppure per la dotazione di postazioni fisse o mobili per il monitoraggio dei lavoratori, dei clienti, degli utenti o dei passeggeri in ingresso, e anche la realizzazioni di aree di lavoro separate e isolate all’interno degli edifici o dei locali devono partire per tempo, comunque prima dell’ora X in cui scatterà operativamente la “fase 2” per una determinata tipologia di attività.

4. Una ulteriore ma non meno importante condizione è quella sanitaria. I lavoratori che saranno chiamati a riprendere le attività dovranno essere monitorati sotto il profilo della Covid-19 e dei fattori individuali di rischio (età, patologie pregresse e altro) che li possono rendere particolarmente suscettibili allo sviluppo di forme gravi del quadro clinico conseguente ad un’eventuale infezione di coronavirus. Il ruolo della medicina di base e del lavoro (in collaborazione tra di loro) sarà decisivo per la realizzazione di questa condizione. Ma toccherà a chi gestisce il piano sanitario nazionale e regionale della “fase 2” rendere effettivamente disponibili i test di laboratorio clinico (test molecolari sui tamponi rinofaringei per l’identificazione del Rna virale di Sars-Cov-2 e/o test sierologici per la rilevazione dello status immunologico coronavirus-specifico del soggetto) necessari per garantire ai lavoratori un ritorno in fabbrica, in ufficio o sui mezzi di trasporto sicuro per sé e per gli altri. Questi test dovranno inoltre servire ad individuare precocemente nella popolazione generale (che comprende lavoratori, clienti ed utenti, ma non solo essi) l’eventuale insorgenza o espansione di nuovi focolai epidemici: in tale evenienza dovrà immediatamente scattare un piano preordinato di chiusura circoscritta delle attività di “fase 2”, per evitare o contenere una nuova onda epidemica locale o regionale.

5. L’ultima condizione è quella della vigilanza. Non si tratta di instaurare un regime poliziesco, ma neppure di cedere all’utopia dell’“andrà sempre e tutto come previsto”. Questa condizione parte da una considerazione realistica (la politica – come ogni altra dimensione della vita personale e sociale – deve fondarsi sul realismo, sulla ragionevolezza e sulla moralità): nessuno di noi è esente dalla tentazione di aggirare le norme di legge o le disposizioni amministrative e organizzative. Alcuni resistono a questa tentazione, altri cedono di fronte ad essa. Questo vale anche (e soprattutto) quando queste richiedono un impegno considerevole nel ripensare e riprogrammare le attività quotidiane, quelle più frequenti e consolidate, siano esse eseguite in proprio o fatte eseguire dai dipendenti o collaboratori sotto la propria supervisione e responsabilità.

I credenti sanno che questa inclinazione a non compiere sempre il bene che pure riconosciamo essere tale per noi e per gli altri ha la sua causa nel “peccato originale” con il quale veniamo al mondo e che il battesimo cancella, senza però toglierne la conseguenza, ossia l’inclinazione (non irresistibile, ma di certo forte) a compiere ciò che non è bene fare. I non credenti forniscono altre spiegazioni di natura psicologica e sociale per la propensione ad essere trasgressivi, ma non abbracciano neppure loro il mito di una “innocenza di gregge” che ci proteggerebbe tutti dalle conseguenze della disobbedienza. Serve dunque che siano previsti o implementati i servizi di sorveglianza interna ed esterna sull’effettiva attuazione delle nuove modalità e le procedure di svolgimento delle attività lavorative e dei servizi che saranno riattivati nella “fase 2” dell’emergenza Covid-19, inasprendo ove opportuno anche le sanzioni per i datori di lavoro e i lavoratori inadempienti. Ma, ancor più importante e decisiva, è una capillare opera di informazione e formazione di tutti i soggetti coinvolti in questa riorganizzazione delle diverse attività, sia come fornitori di prestazioni d’opera che come fruitori di esse.

Ancora una volta, è l’educazione ciò di cui abbiamo più bisogno per ripartire. Educazione: ossia essere introdotti – secondo tutti i suoi fattori – a questa nuova realtà che ci ha colti di sorpresa, ma con la quale dobbiamo fare i conti, adesso e nel prossimo futuro. Una realtà che fa parte della realtà totale, del mondo in cui siamo chiamati a vivere. Un mondo che non è quello che immaginiamo, ma quello che ci è dato di abbracciare ogni giorno come una opportunità per essere protagonisti del dono di un Altro che ci ama.

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