Il picco del contagio, quante volte in queste settimane di assoluta emergenza coronavirus in Italia abbiamo sentito parlare – da voci più o meno autorevoli – di questo “concetto” entrato ormai nel vocabolario di quasi tutti i cittadini italiani. Ebbene, dopo la giornata drammatica di ieri con un aumento di quasi 1000 morti e oltre 4mila contagi in sole 24 ore, il Governo ha varato le ultime misure restrittive sulle attività lavorative di fatto fornendo l’ultimo sforzo possibile prima del lockdown completo (che è impossibile da realizzarsi visto che giustamente la gente deve continuare a mangiare e curarsi negli ospedali). E così allora si attende con ansia questo “picco” nella fortissima speranza che prima o poi la maledetta curva del contagio torni a scendere dopo un aumento di fatto costante in queste ultime 3 settimane consecutive (che hanno portato l’Italia al triste record del primo Paese al mondo per numero di vittime, con il dato di 5476 morti aggiornato al 22 marzo).



«I contagiati che vediamo oggi hanno avuto contatti con positivi probabilmente 10-12 giorni fa, dunque gli effetti del lockdown scattato, all’inizio della settimana scorsa, dovremmo cominciare a vederli nei prossimi giorni. Se non li vedremo, dovremo preoccuparci, sarà un guaio»: a parlare è Sergio Romagnani, professore di immunologia all’Università di Firenze intervistato stamani dal Messaggero dopo la giornata drammatica di ieri inquadrata dai dati della Protezione Civile nazionale.



PICCO CORONAVIRUS, IL PARERE DEL CONSIGLIO SANITÀ

Secondo l’esperto se nel giro di pochi giorni non vi sarà una diminuzione del contagio – dunque superando il picco della diffusione di coronavirus in Italia – allora «vorrà dire che uno dei fattori che rischia di avere ridotto gli effetti del lockdown è rappresentato dai contagi avvenuti tra il personale sanitario degli ospedali». Per Romagnani – e non è il solo – il metodo iniziale scelto dall’Italia è stato tutt’altro che condivisibile: «è stato sbagliato non eseguire più tamponi, in modo sistematico, tra i medici e infermieri. In non pochi casi hanno continuato a lavorare anche coloro che avevano avuto contatti con pazienti positivi, ma erano asintomatici. Così, abbiamo reparti anche non in prima linea, in cui il coronavirus è circolato e sta continuando a circolare».



Sul non-arrivo del picco vi sono poi anche gli elementi “disturbatori” più noti, come «ci sono troppe violazioni alle misure di contenimento, serve più severità nell’applicarle» ribadisce l’immunologo fiorentino che solleva perplessità anche sui numeri in arrivo dalla Lombardia (anche se è buona notizia di oggi la diminuzione finalmente di contagi e decessi rispetto al trend del giorno prima): «La mortalità in quella regione è del tutto anomala, non basta l’età media a spiegarla. Torno a dire: paghiamo il fatto di non aver fatto campagne di test mirati su determinate categorie, quando ad esempio in ospedali come Codogno e Alzano Lombardo ci sono stati i primi casi». Interpellato in merito durante la conferenza stampa delle 18 presso la sede della Protezione Civile, il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli ha provato a rispondere alla questione sul picco del contagio e sull’andamento dei prossimi giorni: «Le prime misure di contenimento sono state adottate l’11 marzo. Ci aspettavamo di vedere i risultati rispetto alla replicazione del virus sostanzialmente a partire dalle 2 alle 3 settimane, la prossima sarà cruciale e ci aspettiamo di vedere un segnale di inversione di tendenza. Faccio un appello alla responsabilità dei cittadini: sappiamo cosa vuol dire andare a impattare in maniera così importante sul nostro stile di vita, ma è il momento per trarre incentivazione per proseguire in questa politica, in questi comportamenti individuali».