Sembrava che Hong Kong, grazie al suo sistema sociale molto più avanzato del resto della Cina, avesse fatto un lavoro esemplare nel contenere il coronavirus. Ufficialmente i contagiati erano stati poche centinaia e i morti addirittura solo 4. Da inizio marzo, questi risultati avevano quindi incoraggiato le autorità locali a rallentare le misure di contenimento: ritorno ai posti di lavoro, mezzi pubblici affollati, riapertura di bar e ristoranti. Invece, negli ultimi giorni, si è registrato un picco imprevisto di nuovi contagi, un centinaio solo domenica scorsa. Così le misure restrittive sono state reintrodotte: persone in isolamento a casa propria, parchi vietati, divieto di ritrovarsi in più di quattro persone all’aperto, cinema chiusi. Per Francesco Sisci, ex editorialista de Il Sole 24 Ore e già corrispondente de La Stampa a Pechino, “quello che sta accadendo a Hong Kong dà la misura esatta di quello che potrà succedere anche da noi. Questo virus ha una capacità di infezione ancora forte, abbassare le misure è un errore molto grave, anche quando sembra che i contagi diminuiscano”. Questa situazione, aggiunge Sisci, “segnala anche la gravità di una condizione economica destinata a diventare sempre più seria, visto che il contagio ha ormai colpito quasi tutti i paesi del mondo. Significa riduzione degli scambi commerciali fino a quando non si troverà un farmaco in grado di curare la malattia o un vaccino”.
Hong Kong, dove tutto sembrava tornato alla normalità, è di nuovo sotto contagio. Che cosa significa?
Sta accadendo la stessa cosa anche in Giappone ed è indicativo di quella che potrà essere la prospettiva del contagio in Europa e in America.
Una lotta senza fine? O a Hong Kong è mancato qualcosa?
Sembrava che il contagio fosse stato messo sotto controllo. Stiamo invece assistendo a una esplosione nuova anche in Giappone, dove si pensava che l’infezione fosse stata prevenuta. E’ evidente come sia a Hong Kong che in Giappone si sia verificato forse un rilassamento delle misure di prevenzione, mentre la capacità di infezione del virus continua purtroppo a essere ancora forte.
Anche la Cina sta riaprendo alla normalità. Troppo presto?
A conferma indiretta di questo, come già detto, in Cina non si sa quando si terrà la sessione plenaria del Parlamento, che era in programma per il 5 marzo. Il che ci dice che la situazione è migliorata, ma non ancora normalizzata, né si intravede quando potrà tornare alla normalità. Tutto questo ci aiuta a capire l’orizzonte di riferimento che dobbiamo tenere a mente guardando alla situazione in Italia, in Europa e negli Usa.
A Hong Kong si è constatato che a portare parte dei nuovi contagi siano stati passeggeri in arrivo da fuori, tanto che hanno deciso di sospendere tutti i voli internazionali. Questo ci dice che potremmo vivere a lungo in un mondo senza comunicazioni e di barriere?
Sì, anche perché il contagio non viene circoscritto in un paese, ma si diffonde ovunque. Non ci sono posti “sani” con cui comunicare liberamente. Di fatto, una serie di barriere esiste anche all’interno della Cina, diverse città sono isolate fra loro. La prospettiva nei prossimi mesi è che potrebbe esserci un rallentamento globale dei trasporti.
Oltre al problema sociale, dal punto di vista economico che impatto avrà questo isolamento?
Un impatto gigantesco. Già oggi assistiamo a una situazione che ricorda la recessione finanziaria del 1929. Rispetto ad allora oggi vengono immesse enormi quantità di denaro, però se i trasporti e gli scambi internazionali diminuiscono tutto si contrae. La gente non esce di casa e non consuma, anche la produzione rallenta. La contrazione economica sarà pesante, la ripresa comincerà a vedersi solo quando avremo un farmaco efficace o un vaccino. Ma non sarà comunque facile, andremo incontro a grandi difficoltà, perché nel frattempo l’economia mondiale sarà come finita sotto un bombardamento.
Siamo abituati a vivere in un mondo ormai globalizzato sotto molti punti di vista. E’ possibile pensare, magari per un breve tempo, a un ritorno a sistemi economici più localizzati?
Accadrà una cosa di questo genere, ma ciò significherà una contrazione enorme delle nostre abitudini di vita. Il commercio internazionale è un potente moltiplicatore di opportunità: se viene a mancare, è come se rinunciassimo a usare la macchina. Certo, possiamo sempre spostarci a piedi, ma sarà molto più faticoso e difficile.