Uno studio ha fatto chiarezza in merito al fallimento della terapia con l’eparina sui pazienti malati di coronavirus. Come si legge oggi, 5 agosto, sull’NMCD, Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases Journal, è stata effettuata una ricerca presso l’istituto clinico Beato Matteo di Vigevano, nel pavese, in cui è stato evidenziato che un livello basso di antitrombina nei pazienti covid obesi, spiegherebbe appunto il fallimento della terapia suddetta con l’obiettivo di scongiurare la trombosi venosa e l’embolia polmonare, quelle che sono considerate le prime cause di mortalità legata all’infezione da Covid-19. Il team di ricercatori è stato guidato dal dottor Carmine Gazzaruso, responsabile delle Unità Operative di Diabetologia, Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Vascolari, ed ha riguardato 49 pazienti affetti da coronavirus. Partendo dal fatto che la mortalità per trombosi rimaneva alta nonostante l’eparina, i medici hanno cercato di capire quali fossero i fattori comuni a tutti i soggetti deceduti.



CORONAVIRUS, EPARINA SUGLI OBESI: LIVELLI BASSI DI ANTITROMBINA E BMI SUPERIORE AI 30

Il primo elemento saltato subito all’occhio è stato il livello molto basso, inferiore agli 80 (la normalità è fra gli 80 e i 100), di antitrombina, una proteina che permette il giusto funzionamento dell’eparina. Altro elemento in comune fra i 16 soggetti era il BMI superiore a 30, un indice di massa corporea che a quei livelli evidenziava una forma di obesità da lieve a severa. Da qui si è appunto arrivati alla conclusione che molti soggetti obesi sono i più colpiti dalla carenza di antitrombina, e di conseguenza, il “flop” dell’eparina. Il dottor Carmine Gazzaruso ha commentato: “I dati – si legge su insalutenews.it in data odierna, 5 agosto – suggeriscono innanzitutto come l’AT sia fortemente associata alla mortalità nei pazienti affetti da Covid-19. Inoltre, l’AT può essere ciò che lega l’obesità e la prognosi infausta nei pazienti con coronavirus”. Un’indagine molto preziosa quella condotta dall’istituto di Pavia: “Il nostro studio – sottolinea a riguardo Gazzaruso – apre la strada ad altre ricerche relative all’antitrombina, che può diventare un marcatore prognostico e un bersaglio terapeutico per la cura del Covid-19”.

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