#Andràtuttobene? Oggi ho visto un medico piangere. L’ho visto in diretta tv. Ha pianto, mentre leggeva la preghiera dei fedeli, durante la Messa celebrata nella cappella del Policlinico dall’Arcivescovo di Milano, e trasmessa dalla Rai regionale in Lombardia. #Andràtuttobene? Forse per la “specie umana”, ma non posso non ripensare che, come scriveva Giussani, il problema del mondo è la felicità del singolo uomo. #Andràtuttobene? A me pare che le uniche riflessioni realistiche siano che “è già andata male” e che “andrà ancora peggio, prima di andare meglio”.
Le speranze di cartapesta virtuale non hanno mai salvato nessuno, né quelli che hanno sofferto, né quelli che stano soffrendo, né quelli che ancora soffriranno. I dati parlano chiaro. Dopo tre settimane dal suo riconoscimento conclamato, l’epidemia è ancora in fase espansiva, sia come intensità, in molte delle zone dei primi focolai, che come diffusione sul territorio nazionale, europeo e globale. Come si vede nel grafico, le curve dei contagi lombardi mostrano un incremento di tipo esponenziale in quasi tutte le province, anche se con tassi di crescita e volumi differenti. Tra le aree maggiormente coinvolte, solo il Lodigiano ha una crescita lineare, con tassi di nuovi contagiati decrescenti. E’ l’effetto delle misure di contenimento imposte a febbraio, con una tempestività inaspettata. All’opposto, l’esplosione di Bergamo è l’immagine dei tentennamenti nella decisione di introdurre nuove zone rosse, per cui oggi misuriamo i tempi delle interlocuzioni politiche in termini di ricoverati, invece che di giorni.
L’andamento di Lodi, comunque, chiarisce la necessità del distanziamento sociale che tutti stiamo vivendo e ne conferma l’utilità. Come dice Massimo Galli, infettivologo del Sacco, è questo il territorio nel quale si combatte la guerra ed è qui che serve la responsabilità e la dedizione di tutti, per limitare la pressione che gli ospedali, nelle retrovie del fronte, devono sopportare.
Purtroppo, non sappiamo quale sia il volume di già-contagiati che abbiamo accumulato nelle settimane scorse e che ancora devono manifestarsi, riversandosi sulle terapie intensive. Questo è il prossimo passaggio drammatico, perché nei prossimi giorni, e per un periodo non definibile, si rischia la saturazione ospedaliera e finché il flusso di dimissioni non andrà a regime, il sistema sanitario non riuscirà a raggiungere un equilibrio sostenibile. Già, la sostenibilità, di cui tutti ci siamo riempiti la bocca negli ultimi tempi.
Un’entità dal diametro di poco più di un decimilionesimo di metro ha prima messo in ginocchio il Dragone (come Merlino nella Spada nella Roccia, per chi se lo ricorda…) e poi, in business class, è arrivata nell’Occidente dalla tecnologia onnipotente, a mostrare la nostra fragilità sistemica.
I virologi sapevano che prima o poi sarebbe arrivata la malattia X, preconizzata dall’OMS, sottoforma di un virus che sarebbe passato dall’animale all’uomo, avrebbe avuto origine in Cina e, se fosse giunto in Italia, sarebbe giunto nel Nord-Est. Ma va?! Sapevamo questo e non siamo stati in grado di difenderci, di impedire che il virus entrasse, cosa probabilmente impossibile, e nemmeno di accorgerci tempestivamente della sua presenza, magari analizzando le numerose polmoniti che hanno punteggiato, in modo anomalo, l’influenza di questa stagione. E ora siamo in emergenza, non solo perché siamo al limite con i contagiati di COVID-19, ma anche perché facciamo fatica a curare chi si rompe una caviglia, a dar seguito alle terapie per i malati cronici, ad assistere gli anziani e i disabili. E quando l’epidemia rallenterà, dovremo essere ragionevoli e prudenti nel ripartire, per evitare che il contagio riprenda, ma nel frattempo dovremo affrontare una crisi economica ampia e profonda.
Dovremo ricostruire un pezzo di società. E dovremo prenderci cura della nostra democrazia che, riprendendo quanto sottolineato recentemente anche da David Sassoli, deve cambiare le proprie “basi giuridiche”, per vincere la sfida posta sia dal dirigismo dei regimi asiatici che da quello del regime liberista: coniugare una maggiore prontezza di risposta alla complessità, con il mantenimento degli assetti di libertà e riconoscimento della dignità della persona tipici della tradizione europea, superando il trade-off tra sviluppo economico e benessere. E poi dovremo prenderci cura dell’Europa che, paradossalmente, ha proprio in questa occasione l’opportunità per diventare quello che non è ancora stata: una vera casa comune. #Andràtuttobene?
La speranza vera non è quella che scongiura di uscirne, ma quella che dà la forza di entrarci, nel dramma, e di attraversarlo. Come lo stuolo di santi ed eroi quotidiani che curano i malati e li accompagnano nella sofferenza, servendoli uno ad uno nei limiti delle proprie forze e a volte della propria vita… come la gente che porta ai medici ogni sorta di genere di conforto e di cibo, o chi mette a disposizione il proprio capannone per costruire mascherine… come il Banco Alimentare, che intensifica la propria azione, paradossalmente ostacolato dai decreti che non riconoscono ai volontari la possibilità di muoversi liberamente per le strade, e come tutte le altre realtà del non-profit che dispiegano in modo virale (!) la propria rete per abbracciare il bisogno a qualunque livello, nel silenzio di una dedizione e di una efficacia che meriterebbero di essere almeno raccontate.
Oggi, mentre la Protezione Civile getta la “mascherina” sulla situazione, la sussidiarietà mostra tutta la sua capacità di reggere l’urto dell’emergenza. E domani sarà all’opera per ricostruire. Nel frattempo, statalisti-centralisti e statalisti-localisti cominciano ad affilare le armi, per spartirsi le spoglie del Paese, pronti a mozzare la mano a chi avrà salvato la cosa comune e a ricacciare la società-che-costruisce nella riserva dei cacciatori di farfalle. Ma quanto sta accadendo in Lombardia, nella sua drammaticità ed emergenzialità, è anche l’evidenza di quale sia il motore del bene comune e di una democrazia efficiente: il cuore umano che costruisce la società, generando comunità che operano e cooperano, nell’alveo degli assetti istituzionali. Non si tratta di una risorsa per i casi eccezionali, ma della natura profonda della società, di quel “diritto a fare il proprio dovere” che risolve la tensione fra individuo e collettività. Oltre al fatto che più il mondo si rende complesso, più frequentemente saremo chiamati ad affrontare emergenze piccole e grandi, mettendo in modo lo stesso tipo di energia che vediamo in azione oggi.
O la sussidiarietà sarà riconosciuta come l’assetto sul quale ricostruire e far prosperare l’Italia e l’Europa o nulla cambierà, in attesa di una nuova crisi e di una nuova speranza di cartapesta, con la quale tirarci su, come il Barone di Münchhausen, che usciva dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli.