Domenica il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha elencato i cinque passaggi del piano del Governo per il dopo confinamento. Tra queste ha espressamente indicato il ricorso a nuove tecnologie informatiche per rafforzare le strategie di tracciamento. In queste settimane si è parlato molto di varie un’App utilizzate in Cina, Singapore, Taiwan, Corea del Sud per ricostruire i contatti con i potenziali soggetti positivi. Molte le perplessità sulla compatibilità di questi applicativi con le norme europee sulla protezione dei dati e molti i timori di contrabbandare i propri diritti individuali contro l’illusione salvifica del tecno-controllo.



Inizialmente circoscritto agli addetti ai lavori, il dibattito si è allargato e ora l’opinione pubblica si ritrova a pensare che l’alternativa sia tra uno strumento di monitoraggio digitale degli spostamenti e la tutela della privacy. In realtà, c’è una terza via, quella di un’App che monitora anonimamente le interazioni e scopre se si è stati esposti al virus. Questa App esiste, si chiama Covid Community Alert ed è disponibile su GitHub, la più importante piattaforma per sviluppatori IT. È stata sviluppata con la collaborazione di 22 persone tra informatici, data scientist, esperti di cybersicurezza, appartenenti a sei Paesi, con la collaborazione di istituti sanitari e di ricerca riconosciuti e il supporto dell’associazione Copernicani.



Come funziona questa App che non traccia le posizioni Gps degli utenti, non richiede login, non raccoglie alcun dato sensibile come nome, cognome, numero di telefono, non divulga lo stato di salute su una mappa pubblica associandolo ai luoghi frequentati?

Alla base c’è Bluetooth, un sistema di trasmissione a bassissimo consumo energetico e alta precisione, che permette la comunicazione tra oggetti a breve distanza. Si usa per esempio per collegare gli auricolari senza filo allo smartphone. Nella comunicazione via Bluetooth ogni oggetto è associato a un identificativo anonimo non riconducibile ai dati anagrafici del possessore dell’apparecchio. Alla fermata della metro, per esempio, il cellulare di Paola capta l’identificativo del tablet di Omar che si trova a un paio di metri da lei, e lo memorizza in un database cloud centralizzato che, periodicamente, ogni 15/20 giorni, viene ripulito.



Supponiamo che Paola risulti positiva a un tampone o gli venga diagnosticato qualche sintomo di Covid-19. L’identificativo dello smartphone di Paola viene inserito nel database quotidianamente aggiornato da una rete di medici certificati e diventa possibile in tempo reale inviare a tutti gli identificativi che il cellulare di Paola ha raccolto negli ultimi 15 giorni, una notifica e chiare istruzioni da seguire. I possessori dei dispositivi allertati sapranno che sono stati in prossimità di una persona infetta prendendo i provvedimenti necessari: quarantena, controlli.

La finalità è di ricostruire la relazione: chi è stato vicino a chi ma in modo anonimo e senza identificare il luogo dov’è avvenuto il contatto. Questa è la sostanziale differenza tra l’App Covid Community Alert e le classiche App di contact tracking che utilizzano dati sensibili collegati alla geolocalizzazione, così come anche la decantata App coreana.

Impostato sull’adesione volontaria, questo sistema che permette una localizzazione di prossimità più circoscritta rispetto alle celle telefoniche, porta un valore aggiunto per chi la scarica: essere avvisati dell’esposizione a un rischio contagio, senza costituire uno strumento di tecno-controllo in deroga al Gdpr.

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