“La nostra Unità di crisi ha approvato l’avvio del progetto scientifico”. Così il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha annunciato il via libera in Regione ai “test con prova sierologica attraverso il prelievo del sangue” per capire se i pazienti hanno già gli anticorpi e l’immunizzazione al coronavirus. La fase sperimentale partirà con i dipendenti della sanità e delle case di riposo”. Una strada che ha intenzione di percorrere anche l’Emilia-Romagna. “È un passo fondamentale – spiega il virologo Giorgio Palù, che ha elaborato il progetto assieme al presidente dell’Aifa, Domenico Mantoan – per prepararci ad affrontare quello che è avvenuto con tutte le pandemie: un’ondata di contagio. I focolai non si stanno accendendo tutti nello stesso momento nelle varie parti del mondo, quindi avremo sicuramente delle ondate di ritorno. Speriamo non dal nostro Sud, che presenta casi sporadici e che deve continuare a osservare rigidamente i provvedimenti di distanziamento sociale e confinamento in casa, ma nuove ondate possono arrivare il prossimo dicembre-gennaio da altre parti del mondo”.
In cosa consiste il progetto?
Il progetto verrà condotto nei laboratori di chimica clinica del Veneto, che hanno già a disposizione gli strumenti per eseguire i Clia, cioè i saggi di chemiluminescenza, utilizzando strumenti per misurare gli ormoni e i biomarcatori di malattia.
Come funziona il test sierologico?
Si prende un po’ di siero, lo si mette a contatto con delle palline rivestite con gli antigeni della proteina di superficie, la nucleoproteina S, del virus Sars-Cov-2. La proteina reagisce e l’interazione viene dimostrata da un altro anticorpo che ha un marcatore chemiluminescente.
È una reazione che avviene in quanto tempo?
In pochissimo tempo. In un’ora si possono fare centinaia di test e con più apparecchi addirittura migliaia di campioni all’ora. Non è come il tampone, che necessita di alcune ore, tanto che in Veneto un laboratorio di microbiologia standard può effettuare al massimo 300-400 tamponi al giorno. Un laboratorio per test sierologici attrezzato con più macchine può arrivare a 1.500-2.000 campioni. La Regione Veneto ha ordinato 100mila di questi test sierologici per poter fare lo screening a tutti i dipendenti regionali, che sono oltre 6mila.
Chi mette a disposizione gli apparecchi?
I saggi di chemiluminescenza vengono da biotech cinesi, che sono già stati validati con marchio CE modello B dagli enti europei addetti. Hanno una specificità e sensibilità per le Immunoglobine G superiori al 95%, un po’ meno per le Immunoglobine M.
Che cosa significa?
Questo è un test in grado di dirci quanto un virus si è diffuso nella popolazione, garantendo un’esatta misura di una prevalenza, che è un parametro diverso dall’incidenza. L’incidenza, rilevata appunto dai tamponi, è una misura di frequenza statistica che ci dice il numero di casi incidenti, cioè quanti sono i positivi.
E la prevalenza?
Ci dice con certezza chi è stato infettato dal virus, chi può aver sviluppato i sintomi o come nella maggioranza dei casi non aver manifestato sintomi o essere stato paucisintomatico. Ci sono, infatti, persone che non si sono accorte di essere state contagiate.
Quale importanza riveste questo studio?
Ci dà il valore esatto del denominatore: quante sono le persone venute in contatto con il virus. A quel punto è possibile mettere al numeratore quello che ci serve misurare. Può essere la morbosità, ossia le varie forme sindromiche con cui si presenta la malattia – tosse, anosmia o iposmia (mancanza di olfatto), disgeusia (assenza del gusto) e quant’altro – oppure la mortalità, che in Lombardia, per esempio, è al 14% e in Italia al 10,5% rispetto a una letalità globale del 4% sugli oltre 750mila casi registrati ieri, mentre in Corea del Sud è all’1% e in Germania è 0,75%. Da qui si capisce quanto sia fondamentale avere questo dato. Il tampone non può darci la prevalenza, perché è un test che non può essere effettuato a tutta la popolazione, per ragioni logistiche e tecniche. Tanto più adesso che non abbiamo né kit, né reagenti.
Il test sierologico può essere uno strumento che aiuta a programmare con maggiore sicurezza la ripresa verso la normalità?
Certo. Dal punto di vista sociologico, quando ci sarà lo spegnimento dell’epidemia – che speriamo avvenga presto visto che l’R0, il tasso di contagiosità, sta scendendo sotto 2 e in alcune parti della Lombardia coinvolte per prime dal coronavirus addirittura si avvicina a 1 – e quando riprenderemo le attività, sarà importante poter capire, per esempio, che i giovani, qualora risultati positivi agli anticorpi e che non presentano sintomi, possono riprendere a lavorare. Anche perché bisognerà pure cercare di uscire il prima possibile da una crisi del Pil in calo del 6%…
Ma gli immuni lo sono definitivamente o solo per un certo periodo?
Solo gli studi successivi effettuati direttamente sul virus, utilizzando anticorpi di diversi pazienti, malati e tutti positivi, permetterà di verificare se questi anticorpi neutralizzano l’infettività virale, se e quanto permane l’immunità in questi soggetti e se questa immunità può essere diretta contro virus che vengono isolati non solo in Italia, ma in altre parti del mondo, dove il virus può essere mutato.
Il test sierologico è affidabile?
Il test di chemiluminescenza è assolutamente affidabile. Specificità e sensibilità – parametri importanti per poter distinguere un vero negativo o un vero positivo – ci confermano che è un test utilizzabile proprio per uno screening di popolazione.
Ma alcuni scienziati hanno detto che in realtà l’evidenza scientifica non è ancora comprovata. Che cosa risponde?
Stiamo parlando in questo caso dei test sierologici rapidi, quelli che si fanno pungendo il dito e mettendo una goccia di sangue su un antigene per avere uno sviluppo cromogenico. Questi sì non sono affidabili. Invece i saggi Clia che utilizzeremo in Veneto, misurando sia le Immunoglobine G, che si sviluppano dopo due-tre settimane, sia le Immunoglobine M, che si sviluppano dopo 5-6 giorni dal contatto con il virus, offrono un’assoluta affidabilità.
(Marco Biscella)
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