Salgono a 322 i contagiati da coronavirus in Italia e a 11 i morti: tre decessi in Lombardia, che riguardano persone con più di 80 anni di età, e una donna a Treviso. Secondo l’Istituto superiore di sanità, il virus era già in circolazione in Italia una o due settimane prima che fosse individuato il “caso indice”, cioè il 38enne di Codogno, che versa ancora in gravi condizioni. Intanto un’ordinanza del governo, che oggi incontrerà una delegazione dell’Oms, prevede alcune misure per uniformare i comportamenti in tutte le regioni utili al contenimento dell’infezione: l’acquisto delle mascherine verrà centralizzato in capo alla Protezione civile; in tutti i concorsi pubblici dovrà essere garantita la distanza di sicurezza per la “trasmissione droplet”, ovvero attraverso gocce di saliva che possono derivare ad esempio da starnuti o colpi di tosse; viaggi d’istruzione, iniziative di scambio o gemellaggio, visite guidate e uscite didattiche sono sospese fino al 15 marzo 2020.
Nel frattempo, le prime misure adottate stanno dando qualche frutto? Possiamo dire che i focolai sono circoscritti o dobbiamo aspettare ancora qualche giorno? “Premesso che non abbiamo ancora gli elementi per una valutazione attenta – risponde Carlo Federico Perno, direttore dell’Analisi chimico-cliniche e microbiologia del Niguarda, del dipartimento di Medicina di laboratorio e professore ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica nell’Università degli Studi di Milano – e che stiamo parlando di qualcosa che è accaduto solo due o tre giorni fa, cioè con tempi – mi verrebbe da dire – ridicolmente brevi, la sensazione è che le misure messe in atto abbiano avuto degli effetti”.
A quali risultati si riferisce?
Il numero dei casi diagnosticati tende ad aumentare, ma aumenta “fisiologicamente”, nel senso che sono molto probabilmente casi di persone già infettate che vengono diagnosticate in quanto viene effettuata una tamponatura di massa. Ma la valutazione vera la potremo fare non prima di una settimana.
Qualora la valutazione dovesse fornire i dati non sperati, quali potrebbero essere le misure successive?
Sia il governo che i presidenti della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e della Regione Veneto, Luca Zaia, hanno indicato che, dovessero verificarsi evidenze che il sistema non funziona, verranno presi provvedimenti più drastici, già previsti nei piani delle autorità competenti. Man mano che un’infezione avanza bisogna assumere provvedimenti restrittivi.
Quali, per esempio?
Bisognerà valutarlo caso per caso. Ci possono essere restrizioni massive legate proprio a diffusione massiccia del contagio, come si potrebbe verificare che l’infezione avanza ma lentamente, e in questo caso non ci sarà bisogno di adottare nessuna misura in più. Meglio attenersi a una valutazione da farsi a mano a mano che avvengono le cose, perché è difficile avere la palla di vetro. È un’epidemia che va valutata, analizzata giorno per giorno e non credo sia opportuno fare valutazioni a medio-lungo termine, perché veramente non sappiamo dove sta andando. Ripeto: la mia sensazione personale è che stiano avendo successo gli interventi di contenimento, poi vedremo nel tempo se tutto questo è vero.
Ci sono errori da non ripetere?
Questo presuppone delle conoscenze delle procedure che sono state adottate che personalmente non ho. Non so che cosa sia successo nei vari ospedali e credo che adesso non lo sappia nessuno. Sarà poi opportuno che ci siano delle valutazioni, a livello politico e sanitario, per verificare appunto se tutte le procedure sono state seguite appropriatamente e quindi se si può fare di meglio o se invece è stato già fatto il meglio.
Visto che adesso c’è da gestire l’emergenza, queste valutazioni andranno condotte ex post?
Per forza di cose. Ora potrei rispondere che non sono stati seguiti fino in fondo i protocolli, ma potrei anche rispondere che proprio grazie alla tempestività degli interventi è stato ottenuto un risultato eccellente, altrimenti sarebbe potuto andare molto peggio. Non abbiamo alcun elemento per propendere verso l’una o l’altra risposta. Bisogna studiare il caso e capire.
All’estero, dalla Svizzera alla Croazia, sono scoppiati i primi casi che vedono coinvolti degli italiani che sono transitati nella cosiddetta “zona rossa”. Per il momento i paesi confinanti hanno deciso di non chiudere i confini, ma non corriamo il rischio di essere presto additati come gli untori dell’Europa?
Il rischio c’è, di fatto un po’ è già successo. La mia domanda però è un’altra: tutto questo risponde a verità? Cioè, se noi davvero abbiamo trasmesso il virus in giro per l’Europa o se invece, con il fatto che certi italiani sono andati in giro per l’Europa, hanno costretto determinati paesi a studiare a fondo delle misure, fare dei test in più e scoprire quello che magari già c’era? La percezione è quella dell’untore, ma credo sia un po’ presto e scorretto, nei confronti dell’Italia e degli italiani, un approccio di questo tipo. Almeno finché non avremo degli elementi chiari che ci dicano: sì, abbiamo trasmesso noi il virus all’Europa oppure no, perché noi siamo stati le prime vittime di un virus che è arrivato da noi. Nessuno può permettersi di dare giudizi prima che sia stata fatta un’analisi attenta della situazione.
Perché negli altri paesi i casi sono molto meno numerosi che da noi?
Occorrerebbe disporre di un’analisi dettagliata dei dati. Le posso rispondere che noi abbiamo avuto un numero di casi più alto che in Europa perché abbiamo un’infezione maggiore, ma le posso anche rispondere dicendo che noi abbiamo più casi rispetto agli altri paesi europei perché noi li cerchiamo e quindi li troviamo. La risposta vera potrebbe essere che chi cerca trova. Se noi abbiamo cercato, abbiamo trovato casi e focolai. Negli altri paesi europei hanno fatto la stessa ricerca capillare? Potremmo, in pratica, essere stati tra i migliori, perché siamo stati i primi a trovare quello che anche altri hanno ma che non riescono a vedere, o potremmo essere quelli che hanno avuto la sventura di avere l’infezione prima di tutti gli altri.
Dall’America è giunta la notizia che proveranno a breve a testare sull’uomo un vaccino contro il coronavirus. Che ne pensa?
Prima che un vaccino sia dichiarato efficace ci vogliono anni di lavoro. Bisogna valutare la notizia con grande attenzione. Non dimentichiamo che il vaccino anti-influenzale è il più rapido che viene prodotto anno dopo anno, ma ciò dipende dal fatto che c’è tutto un lavoro preparatorio che permette di realizzarlo in pochi mesi. Il coronavirus è un virus di cui conosciamo pochissimo, non sappiamo neanche quale sia stato l’ospite naturale, l’animale che lo ha albergato finora, non abbiamo una quantità sufficiente di sequenze virali da poter dire quali caratteristiche abbia il Covid-2019 e l’infezione è in pieno studio. Quindi, davanti a quest’annuncio che arriva dagli Stati Uniti, qualche legittima riserva me la pongo.
(Marco Biscella)