Nell’emergenza dettata dall’epidemia del coronavirus il Governo sta emanando a ritmo serrato decreti e Dpcm per cercare di contrastare il contagio che sul piano della salute pubblica continua a toccare tantissimi italiani e le inevitabili ripercussioni che tutto ciò ha sul piano dell’economia nazionale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, costantemente aggiornati come in un bollettino di guerra: 14.955 le persone contagiate, di cui il 10% è in terapia intensiva, e 1.266 le persone morte. Non a caso Walter Ricciardi, esperto del ministro della Salute e past president dell’ISS, ha affermato per la prima volta, con grande lucidità: “È bene cominciare ad abituarsi a una lunga guerra, tenuto conto che la Sars, meno contagiosa, finì a maggio-giugno. Se va tutto bene, si dovrebbe arrivare all’estate”.



In questa battaglia, quasi un corpo a corpo tra il virus e il Servizio sanitari nazionale, le misure restrittive decretate dal governo e annunziate in diretta tv dal presidente Conte hanno una loro coerenza ed esigono un rispetto scrupoloso da parte di tutti. In questo spirito va letto l’articolo 1 del nuovo Decreto su “Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale”: “Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sono adottate, sull’intero territorio nazionale, le seguenti misure: Sono sospese le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate nell’allegato 1, sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purché sia consentito l’accesso alle sole predette attività. Sono chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati, salvo le attività dirette alla vendita di soli generi alimentari. Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie.



Ciò che veramente sorprende è l’apertura dei tabaccai, dal momento che come è noto su ogni pacchetto di sigarette c’è scritto: “Nuoce gravemente alla salute”. A questo punto il comportamento del governo appare schizofrenico. E appare del tutto pretestuoso quello che affermano alcuni tabaccai intervistati: “La gente dal tabaccaio non compra solo sigarette…  “. In realtà la gente non compra più nemmeno francobolli, perché la gran parte delle comunicazioni avviene per posta elettronica. La vecchia dicitura: “sali e tabacchi” è ormai superata, perché il sale è facilmente rintracciabile in qualsiasi supermercato. Per quanto riguarda i gratta e vinci!, altra patologia del sistema delle dipendenze, occorre ricordare che si trova anche in molte edicole, tuttora aperte. Il punto vero è che il coronavirus ha effetti molto più pesanti nelle persone affette da patologie croniche dell’apparato cardio-respiratorio ed è soprattutto in loro che si creano quelle conseguenze cliniche che richiedono il ricovero ospedaliero e probabilmente anche il ricorso alla terapia intensiva.



Che il fumo faccia particolarmente male al sistema cardio-respiratorio è cosa arcinota; nessuno discute l’alta incidenza che il cancro del polmone ha nei fumatori cronici. E la BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva, è una patologia a cui con il tempo non si può sottrarre nessun fumatore. La legge Sirchia, entrata in vigore 15 anni fa, per tutelare i fumatori, obbligandoli a fumare di meno, e per questo a fumare solo negli spazi aperti, e contestualmente proteggere i non fumatori dagli effetti del fumo passivo, proibiva il fumo in tutti i locali pubblici. Coraggiosamente proibiva anche il fumo in macchina, nei pressi delle scuole, degli ospedali, eccetera.

Il fatto però è che oggi, quando tutto il Paese è sottoposto a sacrifici notevoli, chiuso in casa, senza poter prendere neppure un caffè, se per caso si trova in strada per ragioni gravissime e ben documentate, l’unico posto dove poter andare è proprio e solo dal tabaccaio. E chissà che i tabaccai non si attrezzino nel giro di poche ore con qualche macchinetta per vendere anche caffè a fumatori e non fumatori. Ma la vera trappola è rappresentata dalle sigarette elettroniche e da quelle che funzionano con il tabacco riscaldato: facilmente reperibili con la nuova normativa in tutti i negozi di questo tipo. La proposta commerciale oggi è quasi tutta a carico dei grandi produttori di tabacco, è si è concentrata sul mercato dei prodotti del tabacco a carattere sostitutivo rispetto alle sigarette, nella logica, non dimostrata, della riduzione del danno. Di fatto nel corso degli ultimi anni si è evidenziata una crescita esponenziale dei cosiddetti prodotti del tabacco da inalazione senza combustione, meglio noti come tabacco riscaldato. Nel nostro Paese, sono attivi due soli operatori, Philip Morris e British American Tobacco, che hanno lanciato rispettivamente i propri prodotti a marchio IQOS e GLO nel 2014 e nel 2018. Ora il tabacco riscaldato è per sua stessa natura un prodotto del tabacco e, come tale, riporta, per obbligo di legge, sui pacchetti la dicitura “questo prodotto del tabacco nuoce alla tua salute e provoca dipendenza”.

È francamente difficile da comprendere perché il governo, avendo chiuso tutti gli esercizi commerciali, tranne quelli alimentari e le farmacie, considerati di prima necessità, abbia voluto lasciare aperti i tabaccai, dove l’oggetto prioritario del commercio specifico è rappresentato proprio dalle sigarette e dai prodotti affini, la cui tossicità è nota a tutti. L’ipotesi di partenza, tutta da dimostrare e allo stato attuale priva di fondamento scientifico, che il tabacco riscaldato nuoccia meno alla salute ha fatto sì che allo stato attuale delle cose il tabacco riscaldato benefici di uno sconto fiscale pari al 75 per cento rispetto alle sigarette tradizionali da combustione; percentuale di sconto incrementata per effetto della manovra di bilancio approvata nel dicembre 2018, che ha dimezzato l’incidenza fiscale del tabacco riscaldato rispetto alle sigarette da combustione, riducendola dal 50 per cento, originariamente previsto, all’attuale 25 per cento.

Questo sconto fiscale pari al 75 per cento, rispetto alle sigarette tradizionali, presuppone sul piano teorico che l’impatto tossicologico, ossia il potenziale di rischio del tabacco riscaldato, sia decisamente inferiore rispetto ai rischi prodotti dal tabacco da combustione. La conseguenza naturale è che la vendita agevolata del tabacco riscaldato, considerato il notevole sconto fiscale, nuoccia gravemente alla salute, soprattutto in tempi di epidemia come sono quelli che stiamo vivendo e non giovi neppure alle casse dello Stato, che incassa una cifra ridicola a fronte del danno provocato a tutti i fumatori attivi e i fumatori passivi, ma in questo caso soprattutto ai pazienti affetti da coronavirus.

Oggettivamente non si comprende in base a quale ragionamento il ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità abbiano permesso che il tabacco riscaldato godesse di un trattamento privilegiato, di questa dimensione: uno sconto fiscale del 75%, rispetto al comune tabacco; qualcuno ha ipotizzato che si tratti di un modo di aggirare la legge Sirchia, dal momento che lo Stato ha il monopolio del tabacco. Ma che davanti ad un Paese in quarantena, con gli aeroporti chiusi, con il divieto di uscire di casa per tutti, se non per questioni gravissime, restino aperte solo le tabaccherie, oltre ai generi alimentari indispensabili per la sussistenza, è davvero ridicolo, per non dire drammaticamente contraddittorio con i principi enunciati.

Cosa ci sarà mai scritto sulla autocertificazione con cui una persona andrà a comprare sigarette dal tabaccaio più vicino: affetto da grave dipendenza? O tabagismo di grado elevato? O schizofrenia governativa che mentre pretende di giovare ai pazienti in un certo modo dall’altro vanifica la più importante forma di precauzione per la salvaguardia dei propri polmoni?

Conte e l’intero governo, a cominciare dal ministro Speranza, ci ripensino e in fretta, e chiudano anche le tabaccherie, almeno per par condicio.

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