LONDRA – Il coronavirus ci sta facendo vivere un momento di crisi senza precendenti. E come accade in queste situazioni, l’essere umano può dare il meglio di sé, ma anche il peggio. Il meglio sicuramente lo dà chi in queste ore, anche negli ospedali britannici (e in particolare nella capitale dove la situazione è più grave che nel resto del paese) sta lavorando in turni massacranti cercando di salvare la vita ai pazienti con insufficienza respiratoria che sono sempre più numerosi. In un giorno ci sono stati 53 morti per coronavirus. Siamo solo all’inizio, eppure un ospedale nella municipalità londinese di Harrow venerdì si è arreso di fronte al fatto che i malati gravi in continuo aumento hanno portato all’esaurimento di tutti i posti in terapia intensiva.



Ma ci sono anche molte persone che riescono a dare il peggio di sé. Da giorni i supermercati della capitale sono presi d’assalto. Interi scaffali ripuliti dei loro prodotti. Si sono moltiplicati gli appelli al consumo responsaibile, le raccomandazioni a non fare scorte perché se una famiglia fa scorte per un mese vuol dire che ci saranno altri che resteranno senza e magari saranno proprio coloro che più ne hanno bisogno. Non sono serviti a nulla e posso testimoniarlo: sono stata recentemente in uno dei tanti supermercati Tesco. Prima della crisi, qui si trovava tutto. Invece ora interi scaffali nel reparto della frutta e verdura sono tristemente vuoti. Per non parlare poi di quelli dei prodotti per l’igiene, dai gel antibatterici alla carta igienica e ai rotoli di Scottex. Mancava solo che si prendessero pure la scaffalatura.



La gente ha paura, la situazione sembra sfuggire al suo controllo e forse fare acquisti serve a darsi un obiettivo immediato e concreto. La tendenza sta andando avanti da almeno una settimana ed è peggiorata quando il governo ha annunciato la chiusura di pub, ristoranti, caffè, teatri, cinema, e palestre. La prospettiva di trascorrere un lungo periodo nelle proprie case ha scatenato, nei consumatori, il bisogno di fare scorte. A cui si è aggiunto il fatto che dalla prossima settimana anche qui le scuole saranno chiuse e i genitori dovranno provvedere a sfamare i loro figli (prima ci pensava la scuola).



Ma dov’è finito il senso della misura? Non sono servite le rassicurazioni dei boss dei supermercati sul fatto che i rifornimenti non mancano, se tutti comprano con moderazione. Non è servita la lettera aperta dei negozianti. Non è servito nemmeno l’appello video di un’infermiera che, in preda alla disperazione per aver trovato vuoti gli scaffali della frutta e verdura dopo un turno di 12 ore in ospedale, ha supplicato tra le lacrime di smetterla perché questo comportamento irrazionale priva persone come lei dell’essenziale per restare in salute e poter lavorare.

Il governo non ha ancora preso misure. Continua a fare appello al buon senso e alla responsabilità dei cittadini. Ieri è intervenuto il ministro dell’Ambiente, George Eustice, sollecitando i consumatori ad “essere responsabili” quando si compra perché “comprare più del necessario significa lasciare gli altri senza”.

Siccome questi appelli non sembrano fermare il panic buying, il governo dovrà intervenire imponendo razionamenti. Per il momento sembra riluttante a farlo e si aspetta che siano gli stessi supermercati a prendere provvedimenti. Qualcuno ha cominciato a limitare l’acquisto di alcuni prodotti (massimo tre per cliente) e a riservare uno slot mattutino alla spesa delle persone anziane.

Ma il consumatore fuori controllo, prodotto di una cultura che per decenni gli ha messo in testa che deve comprare per essere felice, va fermato. In questo momento abbiamo bisogno di solidarietà, non di egoismi. I più deboli devono avere la precedenza, e se questo non accade in modo naturale, allora ben venga il razionamento o l’esercito a controllare i supermercati.

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