Il settore dei servizi, un tempo rappresentati da pub e negozi, è la spina dorsale dell’economia reale britannica. La nuova strategia di contenimento sociale annunciata da Johnson rischia di infilare il paese in una spirale recessiva senza precedenti, ma è nella direzione giusta. E bisognerà fare ancora di più. “L’Inghilterra, una nazione di negozianti”. Pare che la metafora venisse usata da Napoleone in modo dispregiativo, per sottolineare la piccolezza del progetto politico inglese. Adam Smith, il padre scozzese dell’economia moderna, la usò invece per elogiare quella libera imprenditorialità che la mano invisibile delle forze di mercato doveva poi trasformare in benessere collettivo. Pianificazione centrale “napoleonica” o decentramento e sacralità della libera iniziativa privata?



Il famoso Stato sociale inglese si muove di governo in governo tra questi due poli, non dimentichiamo la famosa terza via di Tony Blair che di fatto porta una nuova logica di mercato e competizione – ma con l’importante ruolo sussidiario dello Stato – nel sistema sanitario pubblico. Dal governo Cameron del 2010 – anche lui usò la metafora con orgoglio – i conservatori hanno però puntato quasi esclusivamente sull’idea che la mano invisibile della competizione rendesse i singoli ospedali più efficienti e virtuosi. Di fatto gli ospedali britannici si muovono oggi con un vincolo di bilancio molto stretto. Solo un importante intervento centrale (sussidiario) può renderli capaci di mettere in atto misure straordinarie, come per esempio acquistare più ventilatori; la stampa inglese ha intervistato medici in prima linea che sono preoccupatissimi, perché al momento senza il kit protettivo completo.



Intellettualmente Johnson è un liberista hardcore in qualsiasi sfera; di fatto il piano presentato giovedì 12 marzo puntava innanzitutto a non bloccare il paese. Un economista non dovrebbe mai fare previsioni sui mercati, ma in politica ci si può provare: è stato troppo facile prevedere che l’agghiacciante scommessa dell’immunità di gregge non poteva essere approvata né dal popolo né dagli esperti.

Nuova settimana e la strategia del governo cambia completamente: lunedì i calcoli più precisi dei ricercatori dell’Imperial College suggeriscono univocamente al governo che bisogna incrementare le misure di contenimento sociale da subito – “Ma è il contrario di quello che ci avete detto giovedì?” tutti si chiedono –. E come già previsto, a partire dai londinesi – finora i più colpiti – tutti sono stati caldamente invitati a lavorare da casa ed evitare contatti.  Di fatto è un’inversione a U verso la strategia europea.



Politicamente per Johnson non è facile contraddirsi, e il Johnson negoziante cerca di vendere bene le nuove misure di contenimento sociale. Punta ancora una volta sulle libertà individuali a lui così care, spiega che per il popolo sentirsi limitati sarà un sacrificio enorme, ma necessario. Ma è la nazione dei negozianti a essere terrorizzata: pub, ristoranti, e caffè che vivono sulle spese dei colletti bianchi saranno vuoti ed economicamente non sopravviveranno al virus. Da qui un pericoloso effetto domino su altri settori.

Quindi martedì, con il preambolo di una vaga promessa di più test, più letti in ospedale e più ventilatori, arriva il bazooka economico che vale 15% di Pil. Questa volta a fianco di Johnson non c’è il virologo Whitty, ma il giovane ministro del Tesoro, Sunak. Il “cancelliere” ripete cinque volte la frase “whatever it takes”, a qualunque costo salveremo i “negozianti”: grazie alla Banca centrale inglese 330 miliardi di prestiti alle aziende garantiti dal governo, e alla miriade di piccoli o piccolissimi business un “regalo” (grant) di 25mila o 10mila sterline a seconda della dimensione, per 20 miliardi di spesa corrente che si aggiungono alla costosissima Finanziaria già presentata mercoledì 11 marzo. Per le finanze pubbliche è un abisso pauroso.

La gestione economica dell’emergenza è sempre più chiara: spiegazione dell’approccio costi-benefici giovedì, annuncio dei nuovi costi lunedì, annuncio delle risorse per far fronte ai nuovi costi martedì. Introdurre una misura al giorno è molto efficiente anche dal punto di vista comunicativo, ma la narrativa è sempre la stessa: lo chiede “il modello” del governo; naturalmente in questi casi mancano tutti i dettagli, in altre parole, calcoli e numeri precisi, e tutti lo fanno notare. Negozianti e aziende vogliono capire quando e come questi soldi verranno consegnati; la macchina burocratica inglese basata sulle amministrazioni locali può essere terribilmente lenta e complicata. Dato che in Gran Bretagna è facile licenziare o mettere in pausa, i laburisti già contestano che questa strategia non compensa chi perderà il salario a causa della cessione delle attività. Medici e scienziati sono scioccati di fronte alla totale mancanza di dettagli del piano medico. Inoltre, al momento, ancora troppi cittadini non colgono il valore del contenimento sociale: la sera del 17 marzo era la festa di St. Patrick, cara non solo agli irlandesi, e molti non hanno rinunciato alla tradizionale pinta di Guinness al pub.

Come già spiegato, è molto difficile per tutti avere numeri e modelli precisi in un momento come questo dove tutto cambia troppo in fretta. Lunedì il responsabile scientifico Whitty ha accennato al fatto che la strategia del governo è verificata da un approccio interdisciplinare, ma esperti scientifici spiegano che sono stime basate sulla letteratura e non su un modello matematico “completo” per prevedere come il virus si diffonderà in diverse condizioni. Tale modello dovrebbe tenere conto dei comportamenti individuali in condizioni che evolvono ed è ancora nella sfera della ricerca accademica, come spiegato anche dai ricercatori di Imperial College. Essenzialmente, come spiegato da Berta e Lovaglio per il caso italiano, i modelli operativi usati dai governi continuano a stimare giorno dopo giorno la curva della diffusione, cercando di inferirne l’evoluzione e inferendo così anche l’effetto delle misure di contenimento; da qui si capisce l’invito rivolto dall’Oms a non rischiare con la libera diffusione del virus e di partire invece dall’evidenza empirica che viene dall’esperienza di Cina e Corea con la Sars: test, test, test. Anche i dati italiani sono adesso informazione preziosa per tutti i ricercatori.

In queste condizioni estreme i modelli saltano, lo vediamo anche con gli algoritmi di trading e con quelli usati dai supermercati per equilibrare l’offerta alla domanda, e nessuno può rimproverare al governo di non avere il modello perfetto per valutare costi e benefici del contenimento sociale.

La sfida della politica non è avere il modello perfetto, ma usare bene qualunque strumento imperfetto a disposizione. Di fronte ai fatti si capisce che fondamentalmente il governo inglese non può seguire un modello di contenimento o una strategia medica diversa da quella europea, al momento ha solo meno letti, non abbastanza ventilatori, e “Whatever it takes” è in realtà la frase che rappresenta la strategia di Mario Draghi per difendere l’euro nel 2012.

Il pragmatismo è una delle grandi forze della Gran Bretagna, soprattutto quando diventa intelligente realismo. In un momento di grande crisi il pragmatismo inglese può perdonare a Johnson qualche “imbroglio” di marketing, ma non il cinismo di non fare “whatever it takes” non solo per i “negozianti”, ma anche per i malati e i lavoratori, fosse anche “negoziare” intenti e strategie con l’Europa dato lo spettro di una recessione globale e un impegno di finanze pubbliche senza precedenti. In questo momento Boris deve scegliere tra realismo e cinismo, esattamente come tutti.

Nel discorso di ieri Johnson ha annunciato un ulteriore rafforzamento delle misure: è l’ora delle scuole. Data l’impennata di contagi e morti negli ultimi due giorni, le scuole saranno chiuse da lunedì 23 marzo per tutti i bambini, ma riorganizzate per accudire i figli dei lavoratori “essenziali” come medici e infermieri. Promette anche più mascherine, ventilatori e aiuti a tutti i lavoratori che verranno penalizzati dalla chiusura delle attività, oltre a non escludere che la libertà di uscire di casa venga limitata in futuro.

E su Twitter piovono domande sui “dettagli”. Incalzato dal giornalista Tom Newton Dunn, Johnson ha escluso ogni allungamento del periodo di transizione per l’uscita effettiva dall’Europa, ma voci di corridoio suggeriscono che realisticamente l’estensione sarà necessaria. Di fronte a un grande dramma essere realisti diventa più semplice.

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