LONDRA – Il 22 febbraio 2020 è il giorno in cui l’Italia si sveglia alla notizia che il Lodigiano, infettato dal coronavirus, può diventare la Wuhan d’Italia. In realtà Wuhan ha 11 milioni di abitanti come la Lombardia, e la “provincia” di Hubei circa 60 milioni come l’Italia. Il 22 marzo l’Italia si sveglia con le misure “tipo Wuhan” drammaticamente annunciate nella notte dal premier Giuseppe Conte; in un mese esatto, anche per la geografia della pandemia, la Lombardia è Wuhan e l’Italia è Hubei, ma tragicamente con molti più morti.
Il 22 marzo in Gran Bretagna è la festa della mamma; qui cade nella quarta domenica di Quaresima. Secondo un’antica tradizione cristiana, in tale data ci si doveva recare nella propria Chiesa “madre”, quella in cui si era stati battezzati, e quindi in quella domenica finalmente tutte le famiglie si univano. Indipendentemente dal credo, per gli inglesi questa domenica è “sacra”, in quanto può essere l’unica in cui si fa un pranzo “all’italiana” con tutti i parenti; le scelte più classiche sono proprio i ristoranti italiani o il tradizionale pub.
Ma questa domenica pub e ristoranti sono tutti chiusi per le nuove misure restrittive annunciate da Boris Johnson venerdì 20 marzo, un ulteriore passo verso le misure italiane di domenica 8 marzo – festa della donna –, quando la zona rossa veniva estesa a tutto lo stivale. Il liberale Boris Johnson le annuncia come assolutamente vitali, ma ancora una volta senza saltare il preambolo del grande sacrificio richiesto al popolo in termini di libertà individuale, addirittura il “pluricentenario” diritto ad andare al pub; e fa anche un po’ di confusione in conferenza stampa sulla possibilità di andare a trovare le mamme, ma tra venerdì e sabato il governo Uk chiarisce che bisogna stare a casa e consiglia di usare le videochiamate.
La Gran Bretagna è invitata a stare in casa come l’Italia 2 settimane fa, perché i numeri sono paurosamente sovrapponibili. Sabato 7 marzo in Italia c’erano 5.061 casi e 233 deceduti, sabato 21 marzo in Uk ci sono 5.018 casi e, tragicamente, gli stessi 233 deceduti, ma – come già spiegato – con molti meno letti e ventilatori, e al momento anche meno gente in casa.
Qui stare in casa è ancora un’indicazione, una responsabilità individuale, ma c’e anche l’indicazione esplicita di non rinunciare all’esercizio fisico; così il 22 marzo Londra – la Wuhan del Regno Unito – si sveglia con un bel sole e vento freddo, proprio come Milano il 22 febbraio, e sui social viaggiano immagini surreali di parchi pieni di gente come in qualsiasi prima domenica di primavera. Molti medici in prima linea intervistati da vari media si aspettano una tragedia umana ben peggiore di quella italiana.
E se aggiungiamo l’impatto sull’economia, si fa sempre più presente nella psicologia collettiva uno scenario catastrofico in cui tutto si bloccherà, anche la filiera della distribuzione. E allora forse per il popolo dei consumatori è meglio correre ai ripari ed iniziare a fare le scorte: i supermercati sono presi d’assalto da due settimane, e ogni giorno vengono svuotati: prima pasta e passata (ancora una volta l’Italia), poi la carta igienica, e poi via via tutto, ora anche i prodotti freschi. Il governo ha riassicurato in qualunque modo che le scorte non finiranno e la gente deve usare il buon senso.
Spiegare questa dinamica irrazionale attraverso le più famose teorie economiche ultra-razionali potrebbe essere un’ottima domanda d’esame in un corso di economia. Innanzitutto l’equilibrio di Nash, premio Nobel nel 1994. Se so che per le prossime settimane, o mesi, la carta igienica mancherà sempre dagli scaffali perché tutti esagerano nel comprarla, allora la migliore strategia individuale è comprarne tanta subito e mettersi al sicuro. Tutti fanno lo stesso e il risultato aggregato è che finisce in un’ora ogni mattina. Una vignetta del Times lo ha spiegato dicendo: “devo comprarne tanta prima che questi maledetti panic buyers la comprino tutta”.
È razionale la strategia di chi non vuole andare al supermercato tutti i giorni, soprattutto con il rischio dei contagi, ma non è razionale l’aspettativa di chi inizia a comprare troppo; tutte le persone con un minimo di informazione completa sanno che la produzione e la distribuzione di carta igienica, così come di ogni altro prodotto, non finirà. Il premio Nobel 1982 Stigler ha sviluppato le teorie di organizzazione industriale in perfetta competizione; supermercati in competizione avranno sempre un incentivo a vendere i prodotti che sono in grande domanda e Lucas, premio Nobel 1995, dimostra teoricamente – tra le altra cose – che in tale equilibrio competitivo le aspettative non possono rimanere irrazionali.
Perché allora la gente continua a svuotare gli scaffali in modo irrazionale? Perché anche in questo caso i modelli sono saltati. I supermercati non stanno aumentando il prezzo di questi prodotti come suggerirebbe la massimizzazione del profitto; ora stanno lavorando di più allo stesso prezzo, ma aumentare i prezzi porterebbe davvero ad una crisi di panico peggiore. E perché le aspettative continuano ad evolvere ogni giorno, e anche se “irrazionalmente” per alcune persone lo scenario di totale collasso non è escluso; bastano pochi compratori irrazionali per muovere le strategie degli altri. A questo si uniscono i fenomeni psicologici e comportamentali già ampiamente spiegati da molti commentatori in questi giorni.
Il governo ha il compito difficilissimo di mutare comportamenti ed aspettative collettive e non è facile farlo in pochissimo tempo senza un approccio che limiti fortemente la libera azione individuale come ha fatto la Corea del Sud, per ora l’unica nazione che sembra avere successo con la strategia della soppressione totale del contagio. Per il contenimento sociale all’aperto, il governo ha usato finora la teoria comportamentale del “nudge” (il colpetto) di Thaler, premio Nobel 2017, ma anche questo verrà probabilmente sostituito in settimana da un obbligo a stare in casa. Per il problema dei supermercati vuoti di merci e pieni di gente, oltre a messaggi “nudge”, l’approccio è stato quello di mettere restrizioni agli acquisti. Questo è un altro paradosso di questa situazione in cui i modelli saltano: ci si aspetterebbe restrizioni di quel tipo per l’uso dei beni comuni, argomento sviluppato da Ostrom, il primo premio Nobel femminile in Economia del 2009, non per quelli privati.
Intanto il governo ha stanziato un altra dose finora inverosimile di risorse economiche, questa volta per far fronte alla crisi del lavoro dipendente. Ricordiamo i 5 miliardi per il sistema sanitario ed i 7 miliardi per l’industria turistica già stanziati con la finanziaria dell’11 marzo. A cui si sono aggiunti 20 miliardi per tutte le piccole attività che venivano obbligate a chiudere martedì 17 marzo. Venerdì 20 marzo il ministro del tesoro Sunak ha annunciato che il governo pagherà l’80% del salario, fino ad un massimo di 2.500 sterline al mese, per ogni lavoratore che un’azienda non farà lavorare, così da scongiurare licenziamenti in massa. Non ci sono ancora calcoli precisi, ma la stima del Tesoro è di 3,5 miliardi per ogni milione di lavoratori. Si aggiunge a questo lo slittamento del pagamento dell’Iva da luglio 2020 a gennaio 2021. Il governo non ha potuto dare numeri precisi, ma il Financial Times ha stimato un costo totale di 43 miliardi per ogni milione di lavoratori che smettono di lavorare. Questo si tradurrebbe in un incremento del disavanzo di 2% del Pil, esattamente come il costo dell’intervento di Gordon Brown nel 2008-09 per salvare l’economia dalla crisi globale, ed un disavanzo complessivo pari al 10% del Pil per il 2020-21, esattamente come nel 2009-10, il più elevato di sempre. Forse eguagliare quello che si è fatto in un passato recente è oggi l’unico calcolo fattibile.
Mentre scrivo ricordo anche che domani, 23 marzo, è il primo giorno con scuole chiuse, e non è chiaro quale sarà l’effetto immediato sui contatti tra cittadini e sui temuti contagi del personale medico. Bisogna evitare il baratro, e per i capisaldi ideologici del governo qualunque ulteriore stretta a movimenti ed attività è un salto in un abisso misterioso, ma anche l’unica direzione in cui camminare.