LONDRA – Boris Johnson è stato trasferito in terapia intensiva. La sua battaglia con il coronavirus ora si fa dura. Significa che i suoi sintomi sono peggiorati e che probabilmente ha bisogno di aiuto per respirare.

La notizia, arrivata ieri sera, ha scioccato la nazione. Tanto più che dallo stesso Johnson e dai suoi collaboratori erano arrivate rassicurazioni. In mattinata era stato diffuso un tweet del premier per dire che stava bene, era di buon umore e in contatto con la sua squadra.



Eppure i dubbi sulle sue reali condizioni di salute erano cominciati a circolare dal momento del ricovero, nonostante il suo staff dicesse che anche dal letto d’ospedale il capo del governo aveva in mano la situazione.

Le prime crepe nella versione ufficiale sono arrivate con l’ammissione di Dominic Raab, il ministro degli Esteri e vice di Johnson, che l’ultima volta che ha parlato con il premier è stato sabato, prima del suo ricovero.



Il premier sta occupando un prezioso letto d’ospedale in un momento in cui i ricoveri di pazienti con coronavirus sono in aumento esponenziale, si dibatteva sui media. Se le sue condizioni non fossero gravi, non occuperebbe quel letto. E se fosse in contatto con il suo team, parlerebbe quotidianamente con il suo vice.

Poi, il comunicato ufficiale di Downing Street per confermare che “le condizioni del premier sono peggiorate nel pomeriggio” e che lascerà tutte le sue deleghe al ministro degli Esteri.

Il fatto che Johnson sia entrato in terapia intensiva significa che il suo caso non rientra nell’80% che si ammala di coronavirus con sintomi leggeri e che in una settimana guarisce, secondo statistiche diffuse dalla Cina. Farebbe parte, invece, di quel 5 per cento di casi gravi di coronavirus che possono sviluppare una polmonite e avere bisogno di aiuto per respirare.



Domenica, giorno del ricovero del premier al St. Thomas Hospital di Londra, era toccato alla ultranovantenne regina Elisabetta II rassicurare la nazione in un raro messaggio televisivo, registrato nel castello di Windsor.

Un passo necessario, soprattutto per cercare di unire la nazione in uno sforzo collettivo. Non tutti infatti rispettano il lockdown e le raccomandazioni di uscire di casa solo se necessario.

Nel fine settimana i parchi si sono riempiti di persone che a gruppetti prendevano il sole. Molti sono poi stati chiusi per evitare gli assembramenti.

La tentazione di trascorrere del tempo all’aperto, con la propria famiglia, non ha frenato nemmeno chi doveva dare il buon esempio. Paradossale il caso di Catherine Calderwood, chief medical officer scozzese, apparsa fino ad ora accanto alla First Minister Nicola Sturgeon nelle frequenti conferenze stampa sul coronavirus. Contravvenendo alle raccomandazioni da lei stessa prescritte sulla necessita di restare a casa per salvare vite, è stata beccata in visita alla sua seconda casa a Fife, con la famiglia. Non sono bastate le scuse pubbliche per non avere rispettato il lockdown e così la Calderwood si è dovuta dimettere.

I decessi ufficiali per coronavirus sono saliti a 5.373 e i casi confermati sono 51.608. Si parla già di exit strategy dalla situazione attuale di blocco delle attività e di restrizione dei movimenti, ma il picco non è ancora stato raggiunto. È sicuramente presto per parlarne, ma con Johnson in terapia intensiva ora il paese vuole capire a chi spetta prendere le decisioni, sia quelle a breve termine – come gli accordi per la produzione di ventilatori – sia quelle a lungo termine, come la exit strategy.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori