Lo spirito di sacrificio della nazione britannica durante la seconda guerra mondiale, il lockdown per ripararsi dal blitz delle bombe tedesche, i razionamenti di cibo, il detto keep calm and carry on; questi sono fondamenti del Dna culturale britannico richiamati anche dalla regina nell’ultimo intervento alla nazione. Non sorprende quindi che dall’inizio dell’emergenza Covid-19 la metafora della guerra è stata la più usata – e secondo alcuni abusata – anche in Uk. Come sappiamo la storia prima o poi si ripete, la Gran Bretagna è nel pieno dell’emergenza sanitaria e rischia una nuova depressione economica, il governo di Boris Johnson invoca spesso lo spirito della nazione durante il blitz ed il premier ha il ruolo di un nuovo Winston Churchill.



Forse in Europa non tutti sanno che l’istrionico premier ha anche scritto libri, l’ultimo (del 2014) è appunto una biografia di Winston Churchill. Il leggendario Churchill è uno dei miti e dei riferimenti politici di Johnson, ma nel libro si spiega che nel 1925, ancora ministro del Tesoro, Churchill fece un errore dalle conseguenze catastrofiche, cioè diede retta ai consiglieri economici ufficiali e non all’allora giovane Keynes. Così, seguendo l’idea più in voga anche in molti altri paesi, l’Inghilterra fissò il cambio della sterlina all’oro e la recessione del ’29 divenne la Grande Depressione.



La storia ha perdonato a Churchill quel grande errore; si dice che al tempo non avrebbe potuto fare altro. Di fronte all’emergenza sanitaria, al ritardo nell’azione di lockdown e alla mancanza di forniture di materiale medico molti tra commentatori e personale in prima linea vedono gravi errori fatti dal governo di Johnson, ma il governo risponde sempre con la carta degli esperti: tutte le decisioni sono state guidate dalla scienza e il governo sta facendo più del possibile. In un momento drammatico come questo anche i critici non accusano direttamente e concludono che ci vorrà un’analisi approfondita, un altro giudizio della “storia” insomma.



Al tempo stesso qualche indagine approfondita inizia a svelare importanti pezzi del puzzle della pandemia, prima che i veloci cambiamenti li facciano dimenticare. Un approfondito report pubblicato da Reuters il 7 aprile analizza il complesso meccanismo politico e istituzionale che sta dietro alle decisioni del governo britannico. È un sistema disegnato benissimo, in teoria perfetto. Sage è un tavolo di esperti medico-scientifici provenienti da diversi discipline che durante le emergenze hanno il compito di dare le informazioni chiave al governo, che poi deve prendere le decisioni finali in sede di unità di emergenza, detta Cobr – usualmente  “cobra” – dal nome della stanza in cui si riunisce. In linea con l’eccellenza della ricerca scientifica britannica l’approccio è stato multi-disciplinare e quantitativo. Sage deve fa una sintesi organica degli inputs scientifici provenienti da tre gruppi: Nervtag, gli esperti dell’aspetto virologico, Spi-M, gli esperti della modellazione di pandemie, Spi-B gli esperti degli aspetti sociali e comportamentali di un lockdown. Il report di Reuters documenta nei dettagli che fino al 2 marzo anche gli scienziati non hanno alzato il livello d’emergenza al massimo o suggerito un lockdown stile Wuhan, ma traspare anche che il governo ha perso occasioni importanti per prepararsi meglio all’emergenza, in primis l’approvvigionamento di materiale medico in anticipo.

Emblematico è il caso dei ventilatori. Il governo che ha fatto di Brexit la sua missione non ha partecipato alle videoconferenze Ue di febbraio per decidere una strategia comune sull’acquisto di ventilatori, puntando invece sull’industria domestica. Il piano di guerra del ministro Hancock per la produzione del maggior numero possibile di ventilatori viene paragonato a quello degli aerei Spitfire nella guerra, ma parte solo dopo il famoso cambiamento a U del 13 marzo. Tre consorzi con nomi importantissimi si attivano: Renault Formula 1 e Oxford, Dyson e Cambridge, Mercedes F1 e University College London, ma piccoli produttori già pronti a consegnare vengono ignorati. A metà aprile esperti scientifici suggeriscono che le specifiche vanno cambiate (si pensava all’inizio a dispositivi senza drenaggio per una fase critica iniziale) ed il primo consorzio deve fermare la produzione. Hancock riduce il piano di 30mila ventilatori (più o meno 10mila a consorzio) a 18mila ventilatori. Le ultime informazioni indicano che Nhs al momento ne ha 10.120; 200 acquistati, 60 sono stati donati dalla Germania, 200 sono stati chiesti agli Usa.

La storia è simile per guanti, maschere e tute protettive, ed è diventata un caso mediatico. Molti medici e infermieri che hanno curato malati di Covid non erano protetti adeguatamente e le vittime sono già settanta. Poi ad aprile un altro piano di commesse e contratti – definito uno sforzo erculeo – è stato attivato, ma la macchina che allinea commesse, produzioni e distribuzioni è lenta. Ogni giorno è emergenza scorte, e adesso che 233 centri ospedalieri sembrano essere coperti, è il caso delle 58mila case di cure a fare paura.

A molti più che un piano di guerra sembra una corsa disperata, una fornitura di emergenza di 400mila tute protettive dalla Turchia (è la seconda in aprile) non è arrivata, di fronte al caso mediatico è stato mandato un areo militare a prenderle la sera del 20 aprile. Un altro piano di guerra attraverso importanti consorzi tra industria e ricerca è stato attivato per i vaccini, ormai a livello mediatico una delle poche carte usate dal governo per dare una vera speranza sulla fase di uscita, ma i responsabili scientifici avvertono che in questo campo le probabilità di successo sono sempre basse ed i tempi sono lunghi.

È chiaro a molti che i problemi che vediamo oggi sono anche legati ad aspetti fondamentali del sistema istituzionale britannico. L’efficienza economica di ospedali indipendenti e gare d’appalto a breve termine si scontra con la necessità di coordinazione e informazione completa per far fronte ad un’emergenza nazionale. L’eccellenza scientifica di grandi consorzi e gruppi di lavoro interdisciplinari si scontra con la necessità di avere risposte veloci e certe, ma un governo può decidere come dirigere questa infrastruttura istituzionale al meglio e in anticipo; nessuno dubita dello sforzo mastodontico del governo per vincere la guerra, ma ai fatti il piano è sempre in clamoroso ritardo rispetto alle emergenze che si creano, e questa debolezza è ormai punto debole nella narrativa del governo ancora più degli spaventosi dati economici. Statistiche economiche autorevoli dell’istituzione pubblica indipendente Obr hanno previsto centinaia di fallimenti, un  crollo del Pil del 35% se il lockdown continuasse, come sembra, fino a giugno, 9 milioni di lavoratori che dovrebbero essere pagati dal sussidio del governo e un deficit che andrebbe al 14% del Pil, il più alto di sempre dai tempi della seconda guerra mondiale.

Questa settimana è iniziata con un sentimento sulla politica che, con molto tatto, è stato definito “ruvido” dall’esperta politica Laura Kuenssberg della Bbc. Troppi ritardi e troppi morti tra il personale medico che i laburisti hanno proposto di ricordare il 28 aprile con un minuto di silenzio. Fino ad ora pochi politici hanno osato criticare apertamente il governo e il premier ancora malato, ma qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica. La narrativa del governo è che l’Inghilterra ha evitato l’emergenza ospedaliera dell’Italia, molti ospedali hanno di fatto impedito a medici e infermieri di rilasciare dichiarazioni alla stampa sulla mancanza di test e protezioni, ma le foto di Mary Agyeiwaa Agyapong, infermiera di 28 anni morta di Covid due settimane dopo aver partorito, o di Meenal Viz, dottoressa incinta che protesta da sola davanti all’ufficio di Boris Johnson per essere adeguatamente protetta, hanno fatto il giro del mondo. Per vincere la guerra i generali devono avere a cuore i soldati.

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