LONDRA – Boris Johnson oggi torna al lavoro dopo più di tre settimane di assenza nel corso delle quali ha dovuto combattere la sua battaglia personale con il coronavirus. Il premier ha trascorso una settimana in ospedale, incluse tre notti in terapia intensiva dove gli è stato somministrato ossigeno, e due settimane di assoluto riposo.
Il suo ritorno è una buona notizia. Come lui stesso ha detto, il decorso della malattia poteva andare in un senso o nell’altro. Ha rischiato parecchio ed è stato fortunato. Sarà un Johnson trasformato, un premier migliore? Sicuramente ha voglia di tornare al timone. E il paese lo aspetta. Ma lo aspettano anche molti problemi. Innanzitutto c’è la questione dei test. Ne vengono fatti ancora troppo pochi. Il governo ne ha promessi 100mila al giorno entro fine aprile. Ma al momento la media si aggira intorno ai 29mila al giorno: è realistico che entro giovedì si possa fare un salto del genere?
Se il miracolo ci sarà, il merito andrà all’esercito, che ha cominciato a predisporre unità mobili per i test in varie parti del paese. Ancora una volta sono i militari a svolgere un ruolo chiave nella battaglia contro il virus, dopo essere stati impiegati nella costruzione degli ospedali d’emergenza a Londra e in altre grandi città e nella distribuzione di materiale essenziale per la protezione di medici e infermieri che era stato reperito, ma che faticava ad arrivare alle numerose destinazioni finali.
Sui test la Gran Bretagna è paurosamente indietro. L’obiettivo ora è renderli disponibili ai lavoratori chiave, non solo quelli negli ospedali, ma anche il personale delle strutture d’assistenza agli anziani, o delle carceri. Su questo fronte il paese si è mosso con lentezza, con il risultato di farsi trovare impreparato nonostante avesse un vantaggio di tre o quattro settimane sull’Italia. Inizialmente tutte le energie si erano concentrate sui ventilatori. Si diceva che era essenziale procurarsene, che quelli a disposizione erano largamente insufficienti. Poi qualche medico ha cominciato a esprimere dubbi sull’efficacia di questo tipo di terapia. Oggi pare che solo la metà dei malati più gravi di Covid-19 che arrivano in terapia intensiva siano attaccati alla ventilazione meccanica. L’esperienza ha dimostrato, si dice, che molti migliorano più con terapie non invasive che con la ventilazione meccanica, che può essere controproducente.
Ma all’inizio dell’epidemia in Gran Bretagna molte risorse sono state impiegate nella corsa ai ventilatori, si diceva che bisognasse arrivare ad averne almeno 18mila (dagli 8mila a disposizione degli ospedali). Il premier aveva chiesto all’industria manifatturiera di convertire la produzione come in tempo di guerra. Si pensava fosse essenziale per salvare vite. Poi lo scambio d’informazioni mediche con la Cina e l’Italia e l’esperienza stessa hanno portato a un’inversione di rotta su questo punto. Si pensa che anche a Johnson sia stato dato l’ossigeno con un dispositivo Cpap, meno invasivo e violento di un ventilatore meccanico.
C’è stata poi la costruzione, rapidissima, di strutture ospedaliere d’emergenza, complete di terapia intensiva. Disorganizzazione e confusione hanno invece dominato nell’acquisizione e distribuzione dei dispositivi di protezione personale (mascherine, tute, visiere, grembiuli impermeabili, etc). Molte morti, specie nelle case di riposo, probabilmente si potevano evitare con le adeguate protezioni. Il numero ufficiale di morti per il virus (oltre 20mila) non tiene conto di migliaia di decessi avvenuti in queste strutture.
Una serie di sondaggi d’opinione commissionati dall’Observer mostrerebbero che la fiducia nel governo è in calo. Meno persone (solo il 15%) pensano che l’esecutivo abbia gestito bene la questione dei test sul coronavirus, mentre un maggior numero, rispetto a sondaggi effettuati nelle settimane precedenti, disapprova il modo in cui è stata gestita. Per il 71% il livello di test risulta inadeguato nonostante gli sforzi del governo di aumentarne il numero.
Da oggi il premier torna a presiedere le riunioni giornaliere sulla pandemia del coronavirus. Nelle prossime settimane vedremo se ci sarà un effetto Johnson sulla fiducia dei britannici nella capacità di Downing Street di gestire la crisi e soprattutto sulla gestione della riapertura, di cui già si parla.