“Abbiamo evitato il disastro visto negli ospedali italiani”. “Il governo ha sempre seguito le indicazioni degli scienziati”. “Ci saranno 100mila test a fine aprile”. Questi sono stati alcuni dei famosi slogan che il governo britannico ha ripetuto in modo unisono e martellante il mese scorso.
La realtà, al 19 maggio, è ben diversa. Mentre per quanto riguarda contagi, misure di contenimento e riapertura l’Inghilterra è ancora tre settimane indietro rispetto all’Italia, i morti sono più numerosi; alcuni scienziati nelle commissioni – come John Edmunds – hanno chiarito il ruolo della politica nelle decisioni; il target dei test non è stato raggiunto, a meno di contare i test potenziali e non quelli eseguiti. Alle promesse non mantenute si aggiungono anche quelle sull’app per il tracciamento che è ancora in fase di sperimentazione, per non parlare dello spaventoso numero di vittime tra il personale in prima linea e negli ospizi.
Di fronte a questi numeri preoccupanti – il numero di morti negli ospizi viene aggiunto solo a fine aprile dopo grandi pressioni fatte sul governo – l’opinione pubblica è decisamente cambiata. Durante il periodo in cui Boris Johnson era in ospedale i toni sono stati all’inglese e più che critiche ci sono state domande sulla strategia. Poi in un maggio di sole surreale i numeri delle curve dei decessi hanno iniziato a mostrare l’Inghilterra come il peggior malato d’Europa e le critiche hanno iniziato a piovere con insistenza.
Significativo per esempio che sia stato il popolare giornalista e conduttore Pierce Morgan, uno di solito abbastanza conservatore nelle opinioni, a rompere un tabù: in un articolo del 30 aprile ha definito il premier Johnson un “contaballe”, poi rincarando la dose l’11 maggio, dopo l’annuncio della fase 2 e spiegando la distanza tra Johnson e il venerato Churchill. Anche l’ultimo appiglio scientifico del governo sui numeri dei decessi, cioè che le morti in eccesso e i confronti internazionali non sono ancora pronti, è stato smentito da calcoli precisi in un’autorevole articolo pubblicato su Voxeu.org.
Tra la gente c’è ormai consapevolezza delle tante bugie e promesse non mantenute, ma anche un senso di rassegnazione generale di fronte all’inevitabilità di questo fenomeno. Perché questa cinica rassegnazione? E perché il governo continua a difendere la linea della grande competenza quando i fatti dimostrano l’opposto?
Storicamente e culturalmente la politica inglese è affare da gentiluomini e toni pacati. Il Regno Unito è da sempre l’esempio di un bipartitismo quasi perfetto, dove storicamente si convergeva verso politiche di centro per conquistare l’elettore “mediano”. Ma come sappiamo, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da vari “populismi” in tutto l’Occidente; quando Boris Johnson viene eletto ad ottobre per realizzare la Brexit, molti osservatori vedono in lui una versione inglese del populismo, ma anche un’alternativa al populismo socialista vecchia maniera di Corbyn, nonché al populismo anti-europeo di Farage, che in mancanza di un Johnson avrebbe intercettato tutti i fan di Brexit.
Moltissimi scienziati sociali hanno cercato di comprendere meglio le origini e le dinamiche degli odierni populismi – era il grande tema pre-Covid-19. Sicuramente la categoria dell’informazione ha un ruolo fondamentale, infatti il populismo è strettamente collegato al tema delle narrative. C’è bisogno di una narrativa semplice ed efficace per parlare alla pancia degli elettori, e la narrativa non può essere una precisa descrizione di una realtà molto complessa come quella del mondo globalizzato, è più una semplificazione di questa complessità. La narrativa può quindi diventare un’arma potente per identificare una causa e un effetto, magari erroneamente, e sostenere una precisa ricetta politica.
Necessaria e pragmatica semplificazione o mascherata ideologia? Fondamentalmente potremmo non saperlo mai. Gli economisti Roland Benabou (Princeton) e Jean Tirole (Tolosa) negli ultimi anni hanno sviluppato teorie molto innovative che spiegano che in situazioni di informazione incompleta su cause ed effetti, come è di fatto sempre il caso, si possano creare equilibri politico/sociali multipli: sistemi con più o meno narrative populiste e più o meno cooperazione al bene comune.
Una volta bloccati in un equilibrio populista è difficile uscirne, a meno che non ci siano shock informativi o comportamentali; in questa fase la narrativa del governo Uk è poco credibile, ma non palesemente falsa. Non piace nemmeno ai ministri che fanno sempre più fatica ad esporla pacatamente, ma resiste fino al punto in cui una narrativa migliore non si trovi, che è infatti quello a cui stanno lavorando i Laburisti.
Simile in apparenza, ma sostanzialmente diversa, è la dinamica delle narrative della Banca di Inghilterra. Il governatore Andrew Bailey, che ha iniziato il mandato all’inizio della pandemia, è stato criticato per aver illustrato previsioni di una recessione molto violenta (caduta del 30% del Pil nel 2020), ma breve, cioè a “V”. Quasi tutti gli economisti che lavorano nelle istituzioni finanziarie si aspettano o la famosa doppia recessione a “W” oppure una lunga recessione a “U”.
Il tema della narrativa usata dalle banche centrali in presenza di informazione incompleta è un altro argomento molto in voga nei migliori dipartimenti di economia. Eleganti teorie matematiche dimostrano che una banca centrale possa trovare ottimale concentrarsi su obiettivi generici, oppure parziali, senza dare troppi dettagli su tempi e strumenti – per esempio il dire “a qualunque costo” come Powell, Lagarde e Bailey stanno facendo -. La teoria spiega che il motivo di questi annunci parziali e generici non è mantenere la credibilità, un mantra della macroeconomia pre-crisi 2008, ma correggere opinioni inevitabilmente disinformate, quindi potenzialmente sbagliate, di imprese e finanza; in soldoni, e nel passato, avremmo detto “dare fiducia”.
L’economista John Campbell di Harvard in un articolo del 2012 con altri colleghi ha paragonato questo tipo di annunci a quelli fatti da Ulisse nell’Odissea: non si negano i pericoli lungo il percorso, ma si vuole innanzitutto dimostrare che si arriverà a destinazione; funziona solo se nel cuore dei marinai c’è la fiducia che il condottiero, in questo caso la banca centrale, sappia davvero, cioè sia competente.
Anche Boris Johnson è un grande appassionato di letteratura classica, e semplificare per ispirare è il suo forte, ma il problema che il popolo ha amaramente scoperto è la mancanza di competenza del governo. Scavando un po’ tra le narrative, ancora una volta sembra proprio che Johnson si sia mosso con categorie semplificative e anche un po’ superate, qualcuno potrebbe dire populiste.