LONDRA – Ritardare il contagio, spingere il più possibile verso l’estate, verso la stagione calda. Questo l’obiettivo della strategia preparata dal governo britannico per contrastare un’epidemia di coronavirus, ora considerata “altamente probabile” dagli esperti. In pochi giorni i casi di positività sono raddoppiati e anche qui sta cominciando a serpeggiare il panico. C’è il primo morto, una donna ultrasettantenne in precarie condizioni di salute, che ha contratto l’infezione sul suolo britannico.
I casi confermati in tutto il paese sono 116 (al momento in cui scrivo), 25 a Londra. Un numero molto basso se confrontato con l’emergenza che sta vivendo l’Italia, ma abbiamo visto come il contagio si diffonda rapidamente. Considerato il monumentale livello di spostamenti – Londra soltanto ha ben cinque aeroporti da cui vanno e vengono migliaia di persone al giorno – sembra pure strano che si cominci solo ora a individuare casi.
Da quando l’epidemia di Covid-19 è scoppiata fuori dalla Cina, il Regno Unito è sprofondato in una spirale di attesa. E con l’aggravarsi della situazione in Italia, paese vicino, qui hanno cominciato a diffondere anticipazioni sui provvedimenti che saranno presi, sui piani d’emergenza negli ospedali, sulle precauzioni da prendere per frenare il contagio. Si è creato un clima d’attesa sul peggio che deve venire (anche se ancora non c’è) e su come dovremo comportarci. Le istituzioni sono state mobilitate, da giorni si stanno pianificando misure straordinarie (chiusura delle scuole, divieto dell’uso del trasporto pubblico, impiego dell’esercito), le aziende hanno cominciato a implementare politiche di prevenzione e piani anticrisi, il sistema sanitario si sta attrezzando sia a livello logistico che di personale per fronteggiare un’epidemia.
C’è persino un piano messo a punto dai maggiori supermercati del paese per evitare che si rimanga senza prodotti alimentari, come se ci preparassimo a una guerra. Lo riportava in prima pagina il Guardian (non un tabloid!) qualche giorno fa: “Il piano dei supermercati per nutrire il paese mentre si diffonde il virus”. L’idea alla base del piano “feed the nation” sarebbe quella di assicurare la disponibilità di derrate alimentari in caso di panic buying causato da una escalation dell’epidemia. Una misura per prevenire il ripetersi di quanto accaduto in qualche supermercato di Milano, ma anche in Australia, recentemente, sull’onda del panico dopo l’annuncio del primo caso di coronavirus. Per evitare gli scaffali vuoti.
Poi ci sono le dichiarazioni allarmanti dei vari esperti secondo i quali c’è il rischio che il servizio sanitario nazionale (Nhs) possa soccombere sotto il peso di un’epidemia di coronavirus, della mancanza di personale sanitario e di posti letto negli ospedali. Intanto però la Nhs si sta distinguendo per creatività. Avevate mai sentito parlare del tampone drive-in? Il paziente rimane nella propria auto e viene accolto da due infermiere che effettuano il test del coronavirus. Quasi come se si andasse ad ordinare un hamburger al drive-in del McDonald’s. Per ora il drive-in è disponibile solo presso il Central London Community Healthcare Nhs Trust di Parsons Green e per accedervi bisogna chiamare il numero d’emergenza (111). Scopo del drive-in test è evitare che un malato si rechi in ospedale e contagi altre persone. Lo stesso concetto è alla base del progetto pilota di home-testing sperimentato a Londra, con paramedici e infermieri impegnati a fare tamponi a domicilio.