LONDRA – Boris Johnson è al nono giorno d’isolamento a Downing Street dopo avere contratto il coronavirus e continua ad avere la febbre. Anche la sua fidanzata, Carrie Symmonds, che aspetta un bambino, ha alcuni sintomi che potrebbero essere quelli del coronavirus. È in isolamento da una settimana, ha fatto sapere con un tweet, ma si sente meglio.
Con il primo ministro tenuto in scacco dal virus, tocca alla novantaquattrenne regina Elisabetta II rassicurare la nazione. Dal castello di Windsor, dove si trova con il marito, Elisabetta trasmetterà oggi un messaggio televisivo in cui esprimerà gratitudine a tutti coloro che lavorano nella sanità e a tutti coloro che stanno contribuendo alla lotta contro la pandemia. Probabilmente menzionerà l’importanza di stare a casa per salvare vite. Il Regno Unito, che ha superato i 4.300 decessi ufficiali (solo quelli registrati negli ospedali) con una traiettoria molto simile a quella dell’Italia, è in lockdown ma non totale. Si può uscire una volta al giorno per fare esercizio fisico, non c’è il divieto di andare nei parchi.
I messaggi della regina sono molto rari. In passato si è rivolta alla nazione in occasione della guerra del Golfo nel 1991, dopo la morte della principessa Diana nel 1997, e dopo quella della regina Madre, nel 2002.
In questo fine settimana, con sole e clima primaverile in buona parte del paese, la gente ha fatto fatica a rispettare gli appelli a stare a casa da parte del governo, della polizia, di rappresentanti del sistema sanitario. Del resto, fare una passeggiata non è proibito, uscire di casa si può, evitando gli assembramenti. Molti quindi si sono riversati nei parchi delle città britanniche o su lungomare e spiagge per approfittare del sole, sotto lo sguardo vigile della polizia.
Si nota comunque una maggiore consapevolezza da parte della maggioranza dei cittadini: in generale, si cerca di rispettare la distanza di due metri. In molte località ci sono cartelli che lo ricordano, ma piano piano sta entrando nelle abitudini delle persone.
In settimana sono aumentate le critiche al governo per la confusione e la lentezza sui test. Il ministro della Salute, Matt Hancock, uscito dall’isolamento per il coronavirus, ha promesso 100mila test al giorno in Inghilterra per la fine di aprile. Ma al momento se ne fanno circa 10mila al giorno e pare difficile che in quattro settimane si possa raggiungere l’obiettivo. Siamo comunque lontani dai 250mila promessi da Johnson. Non si capisce poi quanti saranno, sul totale, i test degli anticorpi, dai quali si potrebbe capire se si ha avuto il virus. Il ministro della Salute ha detto che l’esecutivo sta lavorando con nove aziende che hanno offerto i test, ma ancora non si sa se funzionano. Tutto procede molto a rilento. Finora sono stati fatti test a meno di 200mila persone.
Il virus, al contrario, si sta diffondendo molto rapidamente. I ricoveri in ospedale di pazienti con coronavirus sono in aumento del 47% nel Midlands e del 35% in Yorkshire e nel Nord Est. A Londra, che resta epicentro del contagio, si è registrato un calo degli ingressi. Ieri i decessi sono saliti a 708, tra cui un bambino di 5 anni con problemi di salute.
Due sono i nodi che il governo deve sciogliere al più presto: aumentare sensibilmente la capacità di fare test alla popolazione e fare arrivare i dispositivi di protezione personale (mascherine adeguate, guanti, tute, protezione per il viso e gli occhi) a tutti gli ospedali. Quest’ultimo, come abbiamo purtroppo visto in Italia e in altri paesi, è un problema ricorrente. Anche gli ospedali britannici sono ancora equipaggiati in modo inadeguato. Mancano tute, mancano mascherine, manca l’essenziale per proteggere i medici a contatto con l’infezione. Sono già morti sette medici e infermieri. Le ultime vittime sono due giovani infermiere, entrambe madri, di 36 e 39 anni. Hanno contratto il virus in ospedale.
Alcuni ospedali sono al limite della loro capacità. Il premier, che inizialmente aveva mostrato riluttanza a mettere la nazione in quarantena, rivedrà le attuali misure subito dopo Pasqua. Se il tasso di malati gravi dovesse notevolmente salire, Johnson potrebbe dover prendere in considerazione una chiusura totale per evitare il collasso degli ospedali.
Anche se tra i suoi consulenti scientifici non sembra prevalere questo approccio. Dopo il chief scientific adviser Sir Patrick Vallance e la sua spiegazione della teoria dell’immunità di gregge, un altro consulente di Johnson, il professor Graham Medley, avverte che un lockdown prolungato sarebbe controproducente e che l’immunità di gregge potrebbe dover essere riconsiderata. Le misure di chiusura totale non possono essere applicate a lungo in quanto provocherebbero problemi ancora più gravi, dalla perdita di tanti posti di lavoro all’aumento della violenza domestica e delle malattie mentali. “Il 13 aprile avremo fatto tre settimane di lockdown e bisognerà prendere una grande decisione”, ha detto il professore al Times. “Continueremo a far del male ai bambini per proteggere le persone vulnerabili, oppure no?”
Il lockdown, secondo Medley, ci permette di “prendere tempo” ma non risolve nulla.