NEW YORK – 17 marzo, sei giorni dal primo vero squillo d’allarme per il coronavirus e la vita è cambiata. Anche quella di chi ce la mette tutta per non cambiare mai niente o – che poi è la stessa cosa – per cambiare sempre, ma solo secondo i propri piani.

Abituati come siamo a vivere nella città che non dorme mai, che non si ferma mai, dove la vita è far progetti e far progetti è vivere. Tutto improvvisamente spazzato via. Luci spente, subway deserta, i quattro turisti rimasti che cercano di non farsi vedere, negozi semichiusi, vita da coprifuoco e continui appelli di Sindaco e Governatore a starsene a casa, soprattutto se si è anziani.



Anche qui abbiamo cominciato a capire: bisogna evitare che l’onda d’urto si alzi rapidamente e si abbatta su un sistema sanitario che ha incredibili punte di eccellenza ma anche i suoi seri buchi neri. Ancora domenica, in una meravigliosa giornata primaverile, i parchi pubblici erano pieni di gente di tutte le età…



Ascolto Cuomo, il Governatore, ascolto Di Blasio, il Sindaco. Non li ho mai amati, quasi mai condiviso le loro scelte, ma oggi è diverso, oggi le cose sono cambiate. Governatore e Sindaco hanno preso le cose seriamente, e io non posso fare a meno di guardarli diversamente. E ieri per la prima volta ho guardato diversamente anche Trump. Che oltre allo sguardo mio sia cambiata anche la vita sua? Perlomeno la vita del Trump che vediamo noi, il presuntuoso Presidente del paese più potente del mondo. Con ogni comparsa televisiva ci aveva insegnato che quel che importa, quel che definiva la sua persona era tirar calci a destra e a manca, spavaldamente, con saccenteria e strafottenza. Ieri no. Nell’annunciare al paese una serie di nuove restrizioni, nell’ammettere che no, il virus non è assolutamente sotto controllo e che chissà quando ce ne libereremo, anche Trump è apparso un essere umano come tutti noi, segnato da un barlume di coscienza del proprio limite.



Deve aver capito anche lui che il virus non lo si licenzia come un membro del proprio gabinetto, con il virus non si negozia e se c’è qualcuno che impone dazi sull’altro abbiamo tutti capito benissimo chi è. Forse un’ammissione di impotenza che salverà migliaia di vite umane.

Gli americani non amano farsi dire dal Governo cosa fare, ma ieri paradossalmente, con la sua ammissione di debolezza Trump ha convinto anche gli scettici che questa è una cosa dannatamente seria e sarà bene dare ascolto a quello che le autorità ci dicono. Siamo passati per l’11 Settembre con il suo catastrofico impatto, abbiamo reagito, abbiamo combattuto, anche dissennatamente, ci siamo tirati su, siamo ripartiti. Ma questo nemico completamente invisibile fa più paura. E lo fa perché introduce nella vita quotidiana di tutti domande e bisogni che questa società ha cercato di estirpare per decenni. In America come in tutto il mondo occidentale. Il pensiero della morte in primis è una nuova povertà, non solo economica. È una vita spogliata di tutte le forme che le davano struttura, che in apparenza la sostenevano, sembravano riempirla, darle sostanza, che fossero realtà o sogno.

Così allora, nello stralunato isolamento in cui New York ed una bella fetta di America si ritrovano, la domanda, quella domanda che tutti abbiamo imparato a non farci, si fa sotto prepotentemente: per che cos’è questa vita? Vedremo che frutto porterà questa inattesa povertà. Magari lotteremo tentando di restare aggrappati a qualcosa che credevamo di possedere, fossero anche cose legittime come i nostri risparmi di una vita, immiserendoci così, giorno dopo giorno. Magari invece questa povertà oltre alle forme della vita ci semplificherà anche il cuore.

Dipenderà da come vivremo questo tempo, perché la vita è sempre nel frattempo. Non si può pensare di trattenere il fiato finché questa emergenza non sia passata per poi tornare a correre dietro alle immagini della propria esistenza.

Possiamo aiutarci di più adesso che non è pensabile incontrarci di quando ci vedevamo. Raccontando storie ai nostri piccoli, pregando insieme, portandoci nel cuore, ed in mille altri modi che scopriremo percorrendo il cammino di questa povertà semplice.

Dalle case di New York e di tutta l’America a quelle del resto del mondo.

God bless us all!

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