NEW YORK – Quello che posso scrivere, voi lo state già vivendo da tempo. Cambiano i luoghi e, forse, certe forme, ma la battaglia è la stessa, fuori e dentro di noi. La battaglia contro il coronavirus è la battaglia per il significato di questo tempo, di tutto il tempo e di tutte le cose.
Da oggi stare a casa è un “must” anche a New York. Bisogna stare a casa sul serio, non come tanti hanno fatto finora. Anche questo l’avete imparato prima di noi. Siamo noi che non abbiamo imparato da voi.
Il governatore Cuomo cerca di porre un freno al dilagare del virus che sembra aver scelto New York come suo avamposto. Sappiamo che avanzerà, tutti ci dicono e ripetono che avanzerà ed infatti i numeri salgono con grande rapidità. Non sono ancora i numeri italiani, ma siamo poco più che all’inizio. Con la popolazione e l’estensione territoriale che abbiamo nessuno ha una percezione realistica di quel che potrà essere.
E poi, ve l’ho già detto tante volte, c’è quell’attaccamento tutto americano al principio di libertà che non ama farsi imporre nuove regole. Smettere di lavorare, stare a casa…
Proprio per questo stamattina il Surgeon General, la più alta autorità legittimata a parlare di salute pubblica, ha rilasciato un messaggio allarmante: “Voglio che l’America capisca che questa settimana le cose si metteranno male”. Lamentando poi il fatto che tanta gente non sta osservando il necessario “social distancing”, ha ribadito che è proprio così che il virus si diffonde. “Bisogna, ma bisogna davvero che tutti stiano a casa”, aggiungendo che il contagio è dietro l’angolo e che “sfortunatamente c’è tanta gente che pensa che a loro non possa capitare”. Ed è vero. Basta guardare le foto di ieri con spiagge affollate dalla Florida alla California (che sarebbe in lockdown).
Noi qui a Brooklyn Bay Ridge ci siamo limitati a due passi nella nostra backyard, una specie di ora d’aria come per i carcerati. Ma noi, chiusi in casa, non viviamo come carcerati. Ormai in tanti conosciamo qualcuno che ha ricevuto questo uninvited guest chiamato coronavirus, ma sembra proprio che finché il male non bussa vicino a casa si possa ignorarlo. Fino a quel momento, finché non ci si ammala – Dio non voglia – le prime preoccupazioni sono altre: lavoro, soldi.
Ieri sera i senatori Democratici hanno bloccato un “economic relief bill”, un provvedimento di sostegno all’economia che si va spegnendo, accusandolo di essere troppo in favore delle grandi corporations, del grande business, e non della gente comune. Qui si perde il lavoro. Milioni di persone abituate a vivere “paycheck to paycheck”, sbarcando il lunario a malapena ogni fine mese, si trovano improvvisamente senza risorse.
La nostra economia – così rampante fino a due settimane fa – come la testa e il cuore degli americani non ama vincoli e strettoie. Qui non solo non abbiamo sanità pubblica o istruzione gratuita, qui non abbiamo neanche contratti collettivi, periodo di comporto, maternità, non sappiamo cosa sia lo Statuto dei lavoratori e tranne che in pochissimi settori non ci interessiamo neanche dei sindacati. È il sistema che Bernie Sanders odia, ma che la maggior parte degli americani ama. Infatti Sanders non potrebbe mai diventare il Presidente di questo paese pre-virus. Vi assicuro che è un sistema che, con tutti i limiti che qualsiasi sistema inevitabilmente ha, è sempre sembrato funzionare meglio del vostro. Finché funziona. Oggi, improvvisamente, no. Oggi è alle corde. E domani, qualunque sarà e per chi ci sarà un domani, dovremo provare ad inventarci qualcosa di profondamente diverso.
Magari partendo da quel “God Bless America” col quale qui si nasce, cresce e convive per tutta l’esistenza, senza mai capire cosa veramente significhi per me e per tutti gli esseri umani.
È ora di chiedersi che questo bisogno di Grazia – perché è questo che dicendolo chiediamo – diventi la coscienza con cui si vive ogni istante. Chiusi in casa, cominciando a costruire il domani.
God Bless America!