“Roma è morta“. Descrizione sintetica e drammatica da parte di Jordan Veretout per la Capitale al tempo del Coronavirus. Naturalmente anche il centrocampista francese della Roma è costretto a casa, in compagnia delle due figlie e della moglie. Il noto quotidiano sportivo francese L’Equipe ha intervistato Veretout, dalle cui parole traspare la paura di essere contagiati dal Coronavirus, tanto che il centrocampista della Roma in famiglia ha fatto assoluto divieto a tutti di uscire anche solo per andare nel giardino della sua villa a Casal Palocco: “Torniamo alle basi, alla famiglia, ai bambini. Tra dieci giorni diventerò un leader per bambini… Realizziamo disegni, giochi da tavolo, abbiamo organizzato una caccia al tesoro. Balliamo e giochiamo a nascondino. Quando i giochi saranno esauriti, le mie figlie mi taglieranno i capelli”. Ritratto di vita familiare molto bello da parte di Veretout, ma naturalmente c’è anche la preoccupazione, che si fa particolarmente evidente in ogni padre di famiglia alle prese con una situazione nella quale deve cercare di proteggere la salute dei suoi cari.
CORONAVIRUS, VERETOUT PARLA DI ROMA
Veretout ad esempio racconta come si sta comportando con le sue figlie: “In questo momento, anche loro sono confinate. L’ultima volta la mia figlia più grande, prima di uscire in giardino, mi ha chiesto: ‘Papà, c’è la bestia fuori?’ Le ho risposto: ‘Sì, ma non possiamo vederlo, è una piccola bestia nell’aria’. Cerchiamo di spiegarglielo senza spaventarla troppo”, ha detto sempre nel corso dell’intervista a L’Equipe. Anche la città di Roma ha cambiato volto: è ferma, irriconoscibile e Vertout la descrive appunto come “quasi morta”. Nel racconto del centrocampista giallorosso: “Di solito è una città sempre affollata, occupata. Le grandi piazze, il Vaticano, bisogna davvero immaginarle sempre piene. Nel mio quartiere c’è sempre rumore di fondo. Lì, quando esco in giardino con le mie figlie, c’è una sensazione di vuoto, di niente, è un po’ spaventoso. Ma viviamo così ora. È complicato vedere le immagini degli ospedali o legate al virus, preferisco vedere quelle dei balconi dove si canta. Non sono sorpreso, gli italiani mostrano sempre solidarietà ed è molto bello”. Per il calcio restano poche parole: “È la mia passione, quindi necessariamente mi manca. Questo ritmo, con allenamento e partite, è la mia vita. Abbiamo un programma di allenamento basato su corse e altre cose ma che non sostituisce una sessione collettiva e il piacere del gioco. Il calcio riguarda le emozioni da condividere con il pubblico. Mi manca”.