Con l’«operazione Letta» che ha incoronato il pupillo dei morotei “re del Nazareno”, ogni tassello (almeno a sinistra) sembra aver trovato la giusta collocazione anche (e forse, soprattutto) per la corsa al Quirinale.
Il crollo improvviso ma non inatteso del governo Conte II: baluardo dichiarato della ricandidatura di Sergio Mattarella a “nuovo” Presidente della Repubblica, rischiava di far saltare il banco.
L’urgenza nazionale, che per le Alte stanze rivestiva una duplice valenza (quella dell’emergenza socio-sanitaria ma anche quella -meno nobile seppur legittima – di un nuovo possibile settennato), reclamava un cambio di rotta: un piano “B” che non disperdesse il lavoro di sapiente tessitura condotto tra le anime della scorsa maggioranza (base numerica essenziale per ogni ambizione quirinalizia) e togliesse dal campo di gara qualche quotato, autorevole competitor.
Ecco che d’improvviso – quasi per miracolo – ciò che a tutti – anche ai più informati – appariva impossibile più che improbabile si è, invece, verificato.
Tempo da perdere non c’era per badare a tante sottigliezze.
Così a Mario Draghi, che nessuno riteneva disposto a prendersi la patata bollente del caos pandemia con un piano di rilancio tutto da inventare, perché accettasse l’incarico di primo Ministro (e togliesse il disturbo dalla corsa al Quirinale) sono state concesse quelle “mani libere” (tutto nell’alveo costituzionale, s’intende) sconosciute ai suoi predecessori.
Stessa solfa, intercedendo in quel di Genova, per l’altro stimato e popolare outsider nella corsa al Colle: il noto “avvocato del popolo”, a cui è stata concessa la possibilità – da nuovo capo indiscusso – addirittura di cambiare simbolo, nome e natura politica al Movimento 5 Stelle.
Infine la recente vicenda di Enrico Letta alla cui riottosità della prima ora (“faccio un’altra vita, un altro mestiere”) è stata offerta (con la solita telefonata ammaliante come sussurra il prolisso Giorgio Melletti) un’investitura bulgara e “mani libere” per sbarazzarsi (per non dire vendicarsi) di eventuali sollevazioni correntizie (“non sono in cerca di unanimismo”) e gettare ponti in vista di una riedizione del “partitone” di pepponiana memoria con il rientro nella “ditta” di quanti (da Leu o da Italia Viva) nel 2016 favorirono l’ascesa al Colle del primo moroteo nella storia della Repubblica.
Insomma, tutto sembra studiato ad arte comprese le “miracolose” telefonate, per offrire al Paese una reale stabilità ma forse anche -lo si dica sottovoce affinché il sonnolento centrodestra non se ne abbia a male – per blindare il Mattarella-Bis.