Nessuno lo ammette, ma i soldi in ballo e il potere economico e politico che ne potrebbe derivare sono enormi. C’è chi è arrivato a dire, tra gli esperti, che “è un peccato che si stia riducendo il numero delle vittime del Covid perché così sarà più difficile trovare un vaccino”. Ecco: la grande caccia, o guerra, è in atto sin dall’inizio della pandemia per arrivare per primi al vaccino del più temuto virus degli ultimi cento anni. Si calcolano un centinaio di aziende in tutto il mondo impegnate nella ricerca, con cinque o sei in vantaggio, tra cui un paio di società anche italiane: la Irbm di Pomezia, che sta lavorando con l’Università di Oxford e avrebbe già firmato un accordo con Londra per dare al Regno Unito l’accesso al vaccino come primo paese al mondo, mentre la casa farmaceutica francese Sanofi si sarebbe invece accordata con gli Stati Uniti per dare loro la priorità. Poi, è di recente acquisizione un accordo per un vaccino made in Italy tra due aziende del nostro paese, Rottapharm Biotech e Takis. Una cosa è certa: la nazione che arriverà per prima all’ambìto traguardo avrà in mano una potente arma sanitaria, ma anche di influenza politica. Ne abbiamo parlato con il generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica.
La caccia al vaccino vede numerosi paesi in corsa per arrivare per primi a disporne. C’è una sorta di copyright, come per le tecnologie, a vantaggio di chi arriva per primo?
Ci sono accordi internazionali sulla proprietà intellettuale. Le società americane che trasferiscono tecnologie pongono condizioni dettate dal Pentagono con regole simili alle tecnologie che venivano distribuite durante la Guerra fredda. Specie nei confronti della Cina, esistono tutta una serie di accordi internazionali, ad esempio per quanto riguarda le armi biologiche o la non militarizzazione dello spazio.
E per un vaccino?
Esiste un sistema generale di controllo delle tecnologie critiche, anche se generalmente le aziende a maggior tasso di tecnologia sono europee, coreane e giapponesi e fanno sempre capo all’America. Quindi sono soggette alle sue regole.
La paura è che disporre per primi di questo vaccino possa essere usato come arma di ricatto, ad esempio nei confronti dei paesi poveri, o risulti una leva che può condizionare i rapporti con le aree “infette”, come l’Africa. È così?
Si tratta di accordi internazionali e di come ciascuno intende stipularli. Ad esempio, la penicillina non è stata sottoposta ad alcun vincolo di proprietà intellettuale, perché la società americana che la produceva seguiva la politica di quel periodo storico: apertura al resto del mondo e generosità verso tutti i paesi. Se verrà trovato un vaccino per il Covid-19, ci saranno delle azioni per renderlo disponibile anche ai paesi del Terzo mondo, anche se le società farmaceutiche per la gran parte sono negli Usa, dove la ricerca è in mano ai privati. Vorranno sicuramente recuperare i soldi investiti per la ricerca.
C’è il rischio che il vaccino possa essere utilizzato come arma economica e politica, ad esempio nel conflitto in corso tra Usa e Cina?
Anche se il vaccino verrà donato, si chiederanno in cambio miglioramenti politici o verranno richiesti alcuni obblighi.
E se fosse la Cina ad avere il vaccino?
Può muoversi entro determinati limiti. Usandolo come arma di pressione, provocherebbe la reazione degli altri paesi e questo danneggerebbe pesantemente il commercio con Pechino.