Caro direttore,
il passaggio di Roberto Saviano da Repubblica al gruppo Cairo Communication (Corriere della Sera e La7) ha naturalmente acceso il gossip negli ambienti editoriali e giornalistici, anche se non all’eccesso. La redazione di Repubblica non ha praticamente battuto ciglio per l’addio di una firma molto costosa (salvo l’anziano collaboratore Corrado Augias, nel suo spazio delle lettere) e con eguale indifferenza di fondo ha reagito quella del Corriere.



Molto più rumore ha fatto ieri – dentro e fuori il quotidiano milanese – la nomina di Fiorenza Sarzanini a vicedirettore con la responsabilità della redazione romana: promossa per il suo ruolo cruciale, negli ultimi mesi, di ufficiale di collegamento fra Via Solferino, Palazzo Chigi e soprattutto il Viminale. Un contesto – quello che ha finora ruotato attorno al premier Giuseppe Conte sotto la vigilanza attenta del Quirinale, impersonificata dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che sembra destinato a consolidarsi per almeno un anno, se non probabilmente fino al termine della legislatura.



È su questo sfondo in assestamento che sembra lecito chiedersi se sia stato davvero Saviano a cambiare casacca nella Serie A della grande stampa nazionale o se invece sia stato il sistema politico-mediatico a muoversi attorno a lui, riposizionandolo presso un nuovo editore. In attesa di sviluppi e verifiche c’è già chi ha segnalato come possibile pietra di paragone la traiettoria di un’altra grande “maschera” della commedia nazionale fra poteri e giornali.

Già quattro anni fa al Corriere è approdata Milena Gabanelli, in finale di carriera dopo una ruggente stagione Rai a Report. E non è difficile per nessuno constatare come lo storico morso investigativo e antagonista di Gabanelli – candidata ufficiale di M5s per la Presidenza della Repubblica nel 2013 – si sia via via stemperato in un giornalismo più analitico e riflessivo, meno legato alla cronaca, nei contenitori cartacei, digitali e televisivi del gruppo Cairo. Anche per l’autore di Gomorra si profila ora un mutamento di generi, copioni, posture e costumi? Oppure è il Corriere di Urbano Cairo – a giudizio di molti il grande quotidiano in questa fase più vicino al governo giallorosso – a considerare prezioso il casting di Saviano?



Il charachter dello scrittore campano è, al fondo, quello del meridionalista orgoglioso: l’italiano (giovane o post-giovane) originario di una terra dei fuochi apparentemente negata a ogni riscatto civile, eppure un italiano del Sud incapace di rassegnarsi all’illegalità e quindi a una democrazia sempre imperfetta e minacciata. È un look che ha meritato a Saviano dapprima una vita difficile: ma anche – per tempo, sulla copertina dell’Espresso – una candidatura ideale a un ruolo di leadership nazionale, politica e non solo morale.

È un cursus che ha reso Saviano rich and famous nel mondo: residente stabile in un attico a New York, dove riceve Salman Rushdie – altro grande scrittore perseguitato dall’oscurantismo – oppure i vip dell’intellighenzia liberal statunitense. Sono stati i new journalists della grande società culturale d’Oltre Atlantico ad adottare e consacrare definitivamente il narratore di Gomorra.

Dal palco di Repubblica – dalla Grande Mela – Saviano si è consentito di fustigare regolarmente tanti Uomini Neri Italiani, anzi è divenuta la sua parte dedicata nel copione narrativo di una sinistra più letteraria che reale, più ideale che ideologica o antagonista.

L’ultimo Nemico Da Abbattere, da odiare in nome della lotta all’odio, è stato – ed è tuttora – un Nord antropologico, formigoniano e leghista, maggioritario sul piano elettorale. E non è detto che la chiave della chiamata di Saviano al Corriere non stia qui: nel suo essere sintonico con un tenace “governo del Sud”, anche anagraficamente condiviso fra sinistra storica (Pd) e post-sinistra antagonista (M5s); e nel suo proporsi come funzionale all’organo ufficiale di uno storico Nord “non leghista”.

In questo l’arrivo di Saviano promette di aggiungere grado alcolico a un quotidiano che già da tempo ha allargato significativamente gli spazi a un charachter come Walter Veltroni: squisitamente romano, lontano da tutte le categorie politico-culturali del Nord (leghista o berlusconiano), eppure utile proprio per questo agli sforzi di contenimento ed erosione dell’egemonia leghista e forzista in Lombardia.

La verifica della democrazia elettorale – rinviata e negata a livello nazionale – a Milano intanto incombe, con il sindaco Beppe Sala in campo per riconferma non scontata. Mentre l’impegnativo rimpasto di giunta in Regione Lombardia sembra certificare l’usura del format del decennio formalmente in scadenza nel 2023 (Pirellone con maggioranza di centrodestra e governatore leghista).

In fondo non è così sorprendente che il partigiano Saviano venga a fare “resistenza ora e sempre” in quella che a lui ha sempre descritto come una terra dei fuochi peggiore di quella originale.