Nell’ultima relazione della Corte dei Conti all’audizione sulla Manovra – presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato – emerge un bilancio piuttosto critico nei confronti delle Regioni, imputate della maggiorparte dei ritardi sui potenziamenti del sistema sanitario locale. Al netto dello scontro a distanza tra territori e Commissario Straordinario all’Emergenza Covid-19 Domenico Arcuri, secondo la Corte dei Conti una forte responsabilità deve essere imputata nei ritardi alle burocrazie di buona parte delle Regioni: «A fine ottobre solo 13 regioni avevano presentato un piano per la revisione dell’assistenza territoriale e solo 12 quelle che avevano presentato i piani per il recupero delle Liste d’attesa». Il tema delle Usca ritorna nel bilancio presentato dalla Corte dei Conti, con il numero inquietante del 50% di Regioni che ancora non hanno attivato i servizi assistenziali domiciliari: «va osservato che con le risorse disponibili per il prossimo anno, pur significativamente potenziate, le regioni dovranno far fronte rispetto a quanto precedentemente previsto, sia alle occorrenze relative al personale e alle Usca di cui era stato finanziato il costo solo per il 2020, sia alle misure introdotte con il d.l. 34 per il potenziamento dell’assistenza territoriale e ospedaliera che, come si è visto, erano state finanziate integralmente solo per il 2020», spiega il report presentato in audizione.



LA FORTE CRITICA SUI PIANI DELLE REGIONI

In tal senso, la Corte dei Conti individua diversi punti di “ritardo” nel rafforzamento del sistema sanitario in vista della “seconda ondata” di coronavirus: sull’attuazione dei piani regionali per il recupero delle liste d’attesa, «solo 12 le Regioni che hanno provveduto ad inviare i documenti». Mancavano i piani di Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Lombardia, P.A Bolzano, Piemonte, Puglia, Sardegna: dato l’attuale andamento del contagio Covid, rileva ancora la Corte, «è tuttavia difficile che si possa effettivamente compiere il recupero delle prestazioni mancate nei mesi del primo lockdown». Ed ecco il tema forte delle Unità Speciali di Continuità Assistenziali, con il report della Corte di nuovo impietoso: «ben avrebbero potuto rappresentare uno strumento di assistenza sul territorio anche in grado di alleviare la pressione sugli ospedali, ha avuto un andamento inferiore alle attese e con forti differenze territoriali. Vi ha inciso la volontarietà dell’adesione da parte dei Medici di medicina generale e dei Pediatri e le difficoltà di disporre di adeguate attrezzature sanitarie. Nonostante in alcune regioni le realizzazioni siano state forti, la media a livello nazionale era inferiore al 50 per cento». Male infine le misure come l’infermiere di famiglia e l’assistenza in genere da domicilio: «sempre a inizio novembre, non era stata sottoposta all’esame della Conferenza Stato Regioni la bozza di intesa elaborata dalle Regioni che doveva portare all’attuazione della disposizione normativa».

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