ISRAELE, LA CORTE CPI E L’ORDINE MONDIALE CHE RISCHIA DI ESSERE STRAVOLTO

Da un lato il posizionamento dei Paesi ONU sullo Stato di Palestina, dall’altro le reazioni a livello internazionale sui mandati d’arresto richiesti dalla Corte Penale Internazionale (CPI-ICC) nei confronti dei leader di Israele e della sigla terroristica di Hamas: ebbene, quello che un tempo veniva definito “ordine mondiale”, dopo il già complesso scenario creato dalla guerra in Ucraina, rischia ora seriamente di venire sconvolto, quasi ribaltato per come si era creato dopo la fine della Guerra Fredda. Quanto avvenuto nell’ultima settimana diversi analisi geopolitici, tanto in Occidente quanto in Oriente, già lo identificano come un momento potenziale storico per lo sconquasso generato nel già intricato ordine globale.



È la guerra in Medio Oriente – e nello specifico, lo schierarsi con i palestinesi o con Israele – ad aver aperto il vespaio e l’ultimo capitolo più recente, il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale, ha come aggiunto un’ulteriore benzina sul fuoco. Guerra, crimini contro l’umanità, sterminio e fame come metodo di guerra: di questo vengono accusati a vario titolo il Premier israeliano Bibi Netanyahu, il suo Ministro della Difesa Yoav Gallant e i tre leader principali di Hamas (il capo politico Ismail Haniyeh, il leader Yahya Sinwar e il leader delle Brigate Al-Qassem, Mohammed Diab Ibrahim al-Masri). L’accusa formulata dal procuratore capo della CPI Karim Khan punta dritto all’equiparazione tra le azioni potenzialmente criminali di Israele e quelle di Hamas: già solo questa richiesta ha generato una spaccatura non da poco nella comunità internazionale, acuita qualche giorno più tardi dall’annuncio di Spagna, Irlanda e Norvegia di riconoscere lo Stato di Palestina. Gli Stati Uniti scesi subito in difesa di Israele, un Occidente diviso dalle posizioni più vicine alla Corte Penale Internazionale della Francia, il tutto con la Cina e la Russia che sul tema preferiscono non schierarsi ufficialmente. L’ordine mondiale è sconvolto, con divisioni non più solo presso le Nazioni Unite ma addirittura dentro l’Unione Europea che presenta posizioni tra le più disparate.



LE POSIZIONI DEI “BIG” SUI MANDATI D’ARRESTO A NETANYAHU: OCCIDENTE DIFENDE ISRAELE TRANNE LA FRANCIA

Chi non ha voluto sentire ragioni dopo la richiesta di arresto formulata dalla Corte Penale Internazionale (o tribunale dell’Aja) sono gli Stati Uniti d’America con il Presidente Joe Biden, intervenuto per difendere Netanyahu nonostante i rapporti tra i due non siano affatto idilliaci dall’inizio della guerra. «Oltraggiosa e scandalosa», così viene definita dal Presidente Usa la decisione del procuratore capo CPI, in quanto non esiste «nessuna equivalenza – nessuna – fra Israele e Hamas». Dopo le dichiarazioni di Biden, dagli Stati Uniti è il Segretario di Stato Anton Blinken a dar seguito all’impulso della Casa Bianca contro la Corte Penale Internazionale: come riporta oggi la CNN, l’Amministrazione Biden starebbe lavorando con il Congresso per una legislazione ad hoc che penalizzi/sanzioni la Cpi dopo la richiesta di mandati di arresto per Netanyahu e Gallant.



Le posizioni espresse in questi giorni dopo l’accusa durissima lanciata dalla Corte contro Israele e la sigla Hamas, come anticipavamo, hanno di fatto spaccato la comunità internazionale: detto degli Usa, sulla stessa scia troviamo il Regno Unito, la Germania e la stessa Italia di Giorgia Meloni. «È inaccettabile equiparare un governo legittimamente eletto dal popolo in un Paese democratico a un’organizzazione terroristica», spiegano da Palazzo Chigi condannando l’impulso della CPI contro Netanyahu. Con la Cina e la Russia che preferiscono non schierarsi – per motivi diversi, con Pechino che mira all’imparzialità della Corte e Mosca invece che non facendone parte non riconosce alcuna giurisdizione – a favore dell’azione di Khan troviamo diversi membri Ue e pure in G7 e NATO. Su tutte, la Francia di Macron sostiene l’azione della Corte Penale Internazionale, in quanto «lotta contro l’impunità in ogni situazione». Secondo Parigi le azioni di guerra a Gaza e nel resto della Striscia sono accomunabili con gli attacchi terroristici lanciati da Hamas lo scorso 7 ottobre: come la Francia, anche Belgio, Spagna e Irlanda si schierano, e la stessa Unione Europea che ricorda appena ieri come tutti gli Stati che hanno ratificato gli statuti della CPI «sono tenuti a eseguire le decisioni della Corte».

COS’È LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE E QUALI SONO GLI STATI MEMBRI

Definita anche come Tribunale dell’Aja, la Corte Panale Internazionale è un organismo giuridico mondiale che giudica i singoli individui (mai gli Stati) accusati di crimini di guerra o contro l’umanità. Fondata con lo Statuto di Roma nel 2002, è un tentativo riuscito solo in parte di costituire un tribunale “sovranazionale”. Sebbene non abbia effetto diretto, la ICC ha giurisdizione in grado di perseguire i crimini di un cittadino anche originario di uno Stato non aderente alla Corte: ma per eseguire il mandato è condizione necessaria che l’individuo si trovi in un Paese che aderisce ufficialmente alla Corte Penale Internazionale.

La Palestina, riconosciuto come Stato “osservatore non membro” dall’ONU, fa parte della CPI dal 2015 e per questo motivo può processare i cittadini palestinesi come quelli di Hamas, così come cittadini israeliani che abbiano commesso eventuali crimini nei territori che rientrano nei confini stabiliti dalle Nazioni Unite. Sono in tutto 124 gli Stati membri della CPI, di fatto più della metà di quelli che ufficialmente anno parte dell’ONU: 32 Paesi aderiscono alla Corte ma senza ancora aver ratificato il trattato, tra questi oltre a Israele troviamo anche Usa e Russia. La Cina non fa parte del trattato CPI mentre l’Ucraina, che non è Stato membro, ha accettato la giurisdizione per poter rendere perseguibili i crimini di guerra compiuti dalla Russia nel Donbass. All’interno del vasto dibattito sull’effettiva giurisdizione della Corte Penale Internazionale – e del conseguente sbilanciamento dell’ordine mondiale – non è un tema secondario il “curriculum” scoperto in questi giorni sul procuratore inglese Karim Khan, responsabile dei mandati contro Netanyahu e Hamas: come riporta il giornalista Marco Fattorini su X, il procuratore capo è stato difensore dell’ex dittatore della Liberia Charles Taylor, condannato a 50 anni di carcere per crimini di guerra e stupri; non solo, è stato avvocato del presidente del Kenya William Ruto, accusato di massacri e omicidi di massa con oltre 1000 morti; infine, han ha dato consulenza legale anche al figlio di Gheddafi Saif al-Islam, condannato a morte in contumacia.