L’algida tecnocrazia europea in una cosa è maestra: nel dissimulare le ragioni profonde della crisi dell’Unione. La Banca centrale europea ha detto che non ascolterà la Corte costituzionale tedesca, la cui sentenza, potenzialmente deflagrante, mette a rischio l’unione monetaria. Sono le nostre sentenze ad essere vincolanti, hanno fatto sapere dalla Corte del Lussemburgo. “L’ultima parola sul diritto dell’Ue è sempre pronunciata in Lussemburgo. Da nessun altra parte” ha detto Ursula von der Leyen.



Chi ha ragione? È molto probabile che la presidente della Commissione dica ciò che non pensa, o che i giuristi suoi consulenti le abbiano detto di dire ciò che sa non essere vero. Se viceversa credesse fermamente nel primato europeo, la sostanza non cambierebbe. “È in atto un conflitto tra due diversi modi di concepire la Germania e l’Europa” dice Paolo Quercia, direttore del Cenass e docente di Studi strategici nell’Università di Perugia.



“Il problema non può essere sciolto, ma solo vinto con una prova di forza. E prevedo che sarà la Corte tedesca a vincerla, questa prova” dice Quercia. Con lui abbiamo cercato di approfondire le implicazioni politiche della decisione dei giudici di Karlsruhe, che il 5 maggio hanno chiesto alla Bce di motivare il suo programma di acquisto di titoli di Stato. Sbaglierebbe, e di molto, chi ritenesse soltanto un problema economico.

“Intanto, in Italia ci sono stati molti commenti negativi su quella sentenza, quasi che si fosse attribuita prerogative che non le competono”.

Perché, secondo lei?



Certamente è una sentenza i cui effetti economici non sono positivi per il nostro Paese perché andando a giudicare se il Qe è fuori dal mandato della Bce, pongono una grande incertezza per il futuro su questa o su analoghe modalità di finanziamento del debito pubblico italiano. Ma c’è qualcosa di più profondo del solo aspetto economico che andrebbe valutato.

Si intuisce che a tremare è lo stesso edificio dell’Unione. Sicuramente in Italia questo aspetto non è chiaro. Da dove cominciamo?

Dal fatto che la Corte costituzionale della Germania ha deciso di percorrere fino in fondo la sua vecchia linea giurisprudenziale. È la cosiddetta dottrina Solange, più volte affermata dalla giurisprudenza tedesca e che sostanzialmente ricorda che è la Corte costituzionale che funge da guardiano del confine che delimita i poteri ceduti all’Europa da quelli rimasti di competenza nazionale.

Però il diritto europeo si applica direttamente negli Stati ed è sovra-ordinato al diritto interno.

Sì, ma se vi sono atti europei che sono andati oltre i limiti delegati, essi non possono essere applicati e vige il divieto all’ordinamento tedesco di accettare tali atti giuridici dell’Ue.

Vediamo di capire. Come abbiamo detto, la Corte tedesca ritiene fuori dal mandato della Bce il Qe. E poi?

Soprattutto ha rifiutato la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue (Cgue) che invece ne riconosceva la correttezza del mandato. Quindi, da un lato ha giudicato incostituzionale il programma di Qe della Bce, dall’altro ha assunto il potere di sindacare e contraddire la sentenza della Cgue, ritenendo che essa abbia superato i suoi limiti. Pertanto nella sentenza sul procedimento ad hoc il Tribunale costituzionale tedesco ha deciso di non conformare il suo giudizio a quello della giustizia europea.

È questo che è avvenuto? La Corte tedesca ha superato i suoi limiti?

Probabilmente sì, e consapevolmente. Ma lascio ai costituzionalisti questa risposta. Il problema è: quali costituzionalisti? Quelli tedeschi? A me preme ora sottolineare un’altra cosa: sa che se una Corte costituzionale va allo scontro con la Cgue probabilmente riuscirà a spuntarla. Ha la forza di farlo, perché ha dalla parte sua il principio di sovranità costruito su un ordinamento pienamente democratico.

Mentre quello europeo?

È in massima parte un ordinamento derivato, o delegato e con forti gap democratici. L’Ue non è un ordinamento costituzionale, non è uno Stato federale ma un organismo istituzionale creato mediante trattati internazionali.

Ma che senso ha tutto ciò da parte della Germania?

La Germania ci sta ricordando come è l’estensione del diritto fuori dalla sua area di applicazione che crea i confini tra gli ordinamenti nazionali e quello sovranazionale. E come molto spesso accade, i confini si creano con un conflitto. E a Karlsruhe ritengono che dei due ordinamenti quello destinato ad indietreggiare è quello delegato, non quello delegante. 

Siamo comunque di fronte ad uno scontro istituzionale senza precedenti.

Bisogna forse ricordare che questo scontro non parte come uno scontro tra ordinamenti e forse nemmeno tra governo tedesco e Ue, ma tra gruppi organizzati di giuristi tedeschi ricorrenti contro l’Unione Europea. Un conflitto in cui la Corte costituzionale tedesca è chiamata a pronunciarsi. E lo fa, anche in questo caso, seguendo la sua giurisprudenza consolidata.

E il conflitto che si è creato in Germania dopo la sentenza? Alcuni dicono che i giudici sono intervenuti in una questione politica, altri rimproverano loro di non avere valutato cosa potrebbe succedere all’Ue se l’euro dovesse frantumarsi.

Quello cui stiamo assistendo non è a mio avviso un conflitto politico tra la Germania e l’Ue, ma è principalmente un conflitto interno alla Germania tra il potere esecutivo – e la politica – ed il potere giudiziario. È un conflitto tra due diversi modi di concepire la Germania e l’Europa.

Quali?

Quella che, per motivi politici, ritiene che la costruzione europea sia funzionale agli interessi tedeschi e che pertanto vada preservata ad ogni costo. E quella che invece ritiene che ci sono politiche europee che vanno contro gli interessi tedeschi e che quindi vanno arginate.

Ma perché la più potente corte costituzionale europea ha deciso ora il suo affondo così gravido di potenziali conseguenze?

A me sembra assolutamente normale che, nel momento in cui poteri europei come la Bce o la Cgue, che non esistono nelle costituzioni nazionali ma sono originati da trattati politici tra gli Stati, si muovono ambiguamente a cavallo dei limiti che sono stati delegati dagli Stati, ci sia una reazione da parte degli ordinamenti giuridici interessati.

E non è una reazione politica?

Non la vedo come una reazione politica, perché il sistema politico tedesco trae ampio beneficio dal sistema europeo. E comunque non ne avrebbe la forza. Mi sembra piuttosto una reazione dell’ordinamento giuridico tedesco in quanto tale. Dal basso. Probabilmente a supporto di una visione meno politica e più mercantile del ruolo della Germania nel mondo. Ma al di là di questo, trovo questa dialettica politica-giustizia assolutamente fisiologica e anzi mi chiedo perché ciò non sia avvenuto più spesso in passato.

Non crede che a causare l’accelerazione sia stata soprattutto la pandemia?

Senza dubbio. Questo conflitto emerge ora in tutta la sua forza per via della situazione emergenziale, per le decisioni europee che sono state prese sulle questioni finanziarie e anche per l’indebolimento del motore politico dell’europeismo, Germania compresa. Se aggiungiamo che siamo agli inizi di un altra grave crisi economica dobbiamo ammettere che questo conflitto, in un modo o nell’altro, non poteva non esplodere. Il governo tedesco è riuscito a tenerlo sotto traccia a lungo.

Vediamo le cose in prospettiva tedesca, o meglio nella prospettiva dei cittadini tedeschi. Dunque dei contribuenti e dei risparmiatori tedeschi.

È un punto di vista imprescindibile. Occorre capire che il 5 maggio i supremi giudici della Germania si sono trovati a dover tutelare diritti economici costituzionalmente protetti dei risparmiatori tedeschi rispetto a politiche monetarie europee che essi ritengono svolte fuori dai limiti dei Trattati.

Proviamo a semplificare, per favore?

In Germania chi aveva risparmio da investire negli ultimi anni non è stato remunerato perché la politica di Qe ha azzerato e addirittura reso negativi i tassi di interesse sul denaro, per consentire alla Bce di comprare i titoli dei Paesi indebitati o di finanziare a tassi nulli ulteriore debito tedesco. È un conflitto tra gli interessi economici dei cittadini e gli interessi politici ed economici del governo. È una questione forse sottovalutata, ma che nell’imminenza di una recessione economica globale assume un significato immenso.

Che cosa rende il sistema tedesco così aperto a queste pressioni dei suoi cittadini?

La facilità dell’accesso alla Corte costituzionale, che di per sé però è un bene. In Germania ogni gruppo di cittadini può contestare  un atto giuridico europeo sostenendo che esso è incostituzionale. Ed è la Corte costituzionale tedesca il giudice. Ma la sentenza di qualche giorno fa compie un passo avanti, perché si pone in disaccordo non solo con una politica della Bce, ma anche con la sentenza del giudice supremo europeo, la Corte di giustizia dell’Ue.

E in questo conflitto l’interpretazione del diritto europeo della Cgue dovrebbe subordinarsi a quella tedesca? 

Credo che sia un esito inevitabile. Non avendo l’Unione una propria costituzione che organizza gerarchicamente i livelli del potere dall’alto al basso, il problema non può essere sciolto, ma solo vinto con una prova di forza. E prevedo che sarà la Corte tedesca a vincerla, questa prova.

C’è posto per un intervento politico di mediazione?

Per la Bce si potrà, però il conflitto giuridico lo vedo problematico. Entrambe le corti sono probabilmente andate fuori dai loro poteri, ma la Corte tedesca ha il potere di farlo, in forza del suo mandato costituzionale ed in forza della maggiore legittimità democratica del suo ordinamento.

Fino a dove potrebbe spingersi in questa prova di forza?

Io temo che sarà un precedente importantissimo, un argine giuridico che sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata confermerà l’autonomia dell’ordinamento tedesco. Alla corte tedesca non interessa più di tanto il Qe, ma la tutela dell’ordinamento interno, “whatever it takes”. Probabilmente ignora volutamente le conseguenze che le sue sentenze possono produrre sul piano politico, quali danni possono produrre all’Europa o all’euro. Ma d’altronde non è questa la vera autonomia tanto celebrata della giustizia dalla politica?

E quali considerazioni suscita in lei questa prospettiva?

Due. La prima, ammirazione per l’estremo livello di apertura e democrazia del sistema tedesco dove, contrariamente all’Italia, anche i comuni cittadini possono contestare provvedimenti di poteri tecno-finanziari dell’Ue di fronte ad una corte nazionale, che giudica sulla base della carta costituzionale i conflitti di interessi tra i cittadini e l’Ue, indipendentemente dalle conseguenze. Con i tempi che corrono e le tante crisi che attraversano l’Ue potremmo dire che è uno strumento pericoloso, ma dobbiamo riconoscerne la grandezza.

E la seconda?

Una certa constatazione dell’inadeguatezza politica della Germania a prendere la guida dell’Unione Europea, anche nei momenti di crisi. Ma l’abbiamo voluta noi una Germania politicamente debole.

Questo scenario potrebbe essere considerato un pericolo. Come quello che ha indotto nel 2016 il 51,89% degli elettori britannici ad uscire dall’Unione e a pretendere dai suoi rappresentanti che questo mandato fosse adempiuto.

Ogni Paese ha una sua storia, e la Germania ne una sua particolarmente ingombrante. Dopo 70 anni di democratizzazione, inizialmente imposta con la forza ma poi interiorizzata, chi può avere oggi il coraggio di dire ai tedeschi che c’è una ragione di Stato superiore ai diritti costituzionali dei suoi cittadini che giustificherebbe di adottare politiche monetarie non scelte democraticamente?

Nemmeno l’Europa?

Dopo la guerra i tedeschi hanno costruito dei meccanismi costituzionali di tutela che non consentono di derogare ai principi fondamentali, neanche da parte dell’Unione Europea. E sono reali. Funzionano. Non come molti principi sulla Carta italiana che sono ideali e disapplicati. Il dramma dei tedeschi in questo momento è quello di aver costruito per decenni la propria democratizzazione attraverso l’europeizzazione e vedere ora i due sistemi confliggere. Ma in caso di conflitto tra democrazia costituzionale e la democrazia europea i tedeschi sceglieranno la prima. Per questo credo che sarà l’Ue a fare un passo indietro.

Quindi, cosa accadrà? Come verrà gestita questa crisi?

Non saprei, vediamo come reagisce la politica tedesca. Ma in generale penso che questa sentenza non rappresenterà un caso isolato. La politica in Europa  piuttosto che attaccare i giudici di Karlsruhe dovrebbe ascoltare il campanello d’allarme. Erano già numerose le sentenze di Corti costituzionali di Paesi europei che contraddicono quelle della Cgue. Ma ora siamo alla vigilia di una recessione provocata dalla pandemia che necessiterà di politiche eccezionali e poteri eccezionali, sia negli Stati che nell’Unione. E questo sistema europeo ibrido non lo consente.

Ibrido perché?

Perché vincola gli Stati e non dà potere vero e democratico all’Unione. E dunque saranno necessarie ulteriori misure ultra vires, cioè in eccesso rispetto ai poteri delegati dagli Stati all’Ue e formalizzate nei Trattati. Non vedo come si potrà fare senza rimettere mano ai Trattati.

Altrimenti?

Altrimenti si produrrà o la paralisi o sempre più profondi conflitti istituzionali. In entrambi i casi sarebbe un piano inclinato verso una definitiva frammentazione dell’Europea in due o più aree politiche con monete differenti e modelli di integrazione diversi. A questo punto, meglio affrontare la questione di una revisione dei Trattati europei prima possibile.

(Federico Ferraù)