Seguite i soldi. I sondaggi davano Biden in bilico ormai anche in stati considerati democratici, ma ciò che ha convinto il partito ad alzare il livello del pressing perché non si candidasse più per le presidenziali di novembre sarebbe stato il calo dei finanziamenti. Un campanello d’allarme al quale i dem hanno prestato subito grande attenzione e che ha indotto, se possibile, a rendere ancora più intensa l’opera di convincimento nei confronti dell’attuale presidente e del suo entourage. Il cambio in corsa, spiega Francis X. Rocca, giornalista americano, ex corrispondente in Italia per il Wall Street Journal, potrebbe ridare slancio alle speranze per una vittoria, comunque difficile, su Trump. E anche ammesso che, come sembra, il candidato più probabile ora diventi Kamala Harris, bisogna definire come arrivare alla sua candidatura. Molti nel partito, a partire da Obama, vorrebbero una procedura trasparente, nella quale si possano presentare altri aspiranti candidati, anche se i delegati alla Convention di agosto a Chicago sono pro-Biden e probabilmente accetterebbero volentieri di girare le loro preferenze su un candidato che è sempre stato anche il loro, anche se per la vicepresidenza. Cominciano a rincorrersi le voci su chi sarà eventualmente il vice di Kamala Harris. Potrebbe essere un uomo come Josh Shapiro, governatore della Pennsylvania. Oppure il ticket potrebbe essere completamente femminile con la “promozione” del governatore del Michigan Gretchen Whitmer.
Come è arrivata la decisione delle dimissioni di Biden?
Da quello che sappiamo è stata una decisione presa, o almeno comunicata, da Biden all’ultimo momento. Solo pochi minuti prima il suo staff stava chiamando i delegati per confermare il loro sostegno. Comunque nessuno lo ha saputo in anticipo.
Chi lo ha convinto che doveva lasciare? Alcune ricostruzioni dicono che abbia avuto molto peso la posizione di Nancy Pelosi, altri che anche i Clinton e Obama hanno detto la loro. Chi detta la linea all’interno dei democratici?
Si dice che Pelosi stava mettendo molta pressione su Biden. Il ruolo di Clinton e Obama è meno chiaro. I due Clinton hanno subito espresso il sostegno per Harris, Obama no, forse vuole suggerire almeno formalmente qualche tipo di concorrenza interna. Harris, comunque, ha ricevuto sostegno anche da altri, tra cui persone indicate come possibili candidati, come il governatore della California Gavin Newsom.
Com’è messo al suo interno il partito democratico, ci sono spaccature o almeno posizioni diverse che si stanno manifestando?
Sulle dimissioni di Biden ha influito la fuga dei finanziatori. Un aspetto molto importante. Molti di loro avevano espresso le loro perplessità. Nel partito c’è una forte pressione, invece, perché si arrivi all’unanimità sul nome della Harris. Per il momento non vedo nessun segnale contrario. Ha ricevuto già diversi endorsement importanti, come quello del Black Caucus, che riunisce i candidati di colore in parlamento. Tuttavia, il capo dei senatori democratici Chuck Schumer e il capo dei deputati Hakeem Jeffries finora non si sono espressi esplicitamente per lei.
Chi sono i finanziatori del partito democratico?
Uno dei nomi è quello di Reid Hoffman, uno dei fondatori di LinkedIn e forte sostenitore di Biden, che non voleva abbandonarlo, che però ha già sostenuto apertamente Harris. Uno dei più importanti finanziatori è Jeffrey Katzenberg, uno dei grandi nomi di Hollywood.
La stessa Harris, d’altra parte, ha detto che la candidatura se la vuole guadagnare.
Lo ha dichiarato subito dopo la notizia dell’abbandono di Biden. È stata eletta come vicepresidente nel 2020 e in questo senso ha una certa legittimità, ma non è l’erede automatico. Almeno formalmente i democratici vogliono dare l’idea che sia scelta in un processo trasparente. Nella sua lettera di dimissioni, un tweet, Biden, comunque, non ha dato il suo endorsement, lo ha fatto in un altro messaggio. Se avesse veramente voluto indicarla si sarebbe dimesso anche da presidente, lasciandole la sua carica.
Quali sono i possibili concorrenti della Harris? Si deciderà guardando i sondaggi?
Si dice che potrebbero esserci alcuni dibattiti televisivi, dopo di che i delegati per la Convention, quasi tutti legati a Biden, saranno liberi di scegliere. Credo che opteranno per Harris, perché Biden ha promosso la sua candidatura. Newsom, governatore della California, ha già detto che il candidato deve essere lei, la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer non si è ancora esposta pubblicamente, ma si dice che stavolta non voglia presentarsi. Si parlava anche del governatore dell’Illinois Pritzker, ma è un po’ che il suo nome non si sente, e di quello della Pennsylvania (che è uno stato chiave) Shapiro. Quest’ultimo è uno dei nomi che si fanno come possibile vice della Harris.
Quanto al vicepresidente come dovrebbe essere il candidato tipo? Secondo alcuni Harris rappresenterebbe l’anima più progressista del partito: è meglio avvicinarle una persona più moderata?
Quando la Harris si presentò come candidata alle presidenziali, partecipando alle primarie, era vista come moderata. Era un magistrato piuttosto aggressivo, nota perché durante il suo mandato erano aumentate le condanne. Sarebbe la prima donna presidente e oltre a essere nera è anche di origine indiana. Il luogo comune è che il vice sarà un candidato tradizionale, forse un bianco. Per esempio, Shapiro, che potrebbe essere così il primo ebreo a essere eletto in questo incarico. Presidente e vice non possono essere dello stesso stato. Con Harris (che è della California) non potrebbe, quindi, esserci Newsom.
Ma ci sono anche altre ipotesi sul tavolo?
Finora come vice veniva scelto qualcuno con una impostazione diversa rispetto al candidato presidente. Trump, però, non ha seguito questa regola. Insomma, si dice che possa essere un uomo bianco, ma potrebbe essere anche la Whitmer, definendo così un ticket con due donne. Non si può dire per ora. In questo momento storico, pieno di incognite, bisogna restare aperti pure a soluzioni diverse.
Come si procederà ora per la scelta?
Si parlava di una selezione in anticipo, realizzata virtualmente, per motivi legali: certi stati esigono i nomi 90 giorni prima dell’elezione. Non so se la questione sarà definita prima della Convention di Chicago dal 19 al 22 agosto.
Ma il partito democratico di per sé rimane unito?
Non vedo una grande spaccatura. Si stanno unendo. Lo vedremo. Questo cambiamento potrebbe rilanciare un po’ di entusiasmo. La situazione era diventata insostenibile. Sarebbe stato impossibile arrivare a novembre, in troppi si erano espressi dicendo che Biden non ce la poteva fare. Adesso hanno un candidato più giovane, lo hanno già fatto notare, facendo presente che Trump diventa il candidato più vecchio della storia. Ma fino a ieri dicevano che ce la poteva fare Biden.
(Paolo Rossetti)
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