La vittoria di Trump, incerta per i sondaggi, aveva invece raccolto un ampio consenso tra gli investitori che nelle ultime settimane avevano scommesso forte sul successo del candidato repubblicano. I movimenti che si erano visti sui mercati nei giorni immediatamente precedenti all’elezione che andavano in parte in direzione contraria a Trump non davano un’indicazione chiara; si potevano interpretare sia alla luce di un avvicinamento di Kamala Harris sia come ritracciamento di una scommessa partita a inizio ottobre e che aveva già pagato bene.
Tra i movimenti più evidenti alla vigilia dell’apertura di Wall Street si registra il rialzo dei rendimenti dei titoli di stato americani che incorporano aspettative di maggiore deficit e maggiore inflazione. Il programma di Trump, infatti, prevede da un lato minori tasse e dall’altro maggiori dazi; sono due politiche inflattive nel medio periodo. La discesa dell’oro nelle prime ore della mattina conferma le attese di tassi più alti. Scende invece il prezzo del petrolio; Trump non solo non ha alcuna intenzione di porre limiti alle attività estrattive, ma intende promuoverne la produzione per abbassare la bolletta energetica e migliorare la competitività delle imprese americane. Il dollaro buca la soglia dell’1.08 rafforzandosi contro l’euro. Si scommette che l’Europa non riesca a tenere il passo dei tassi americani e che possa puntare a lasciar svalutare l’euro per guadagnare un po’ di competitività sulle imprese americane. Questa potrebbe essere una parte della risposta dell’Unione europea a nuovi dazi americani.
Gli indici asiatici sulle energie verdi aprono la giornata in calo aggiornando nuovi minimi. La transizione energetica è costosa anche quando la fanno tutti, ma se gli Stati Uniti la abbandonano per migliorare la propria competitività i costi rischiano di diventare insostenibili. Da un lato, chi intende proseguire sulle politiche green deve pagare un deficit di competitività tanto lungo quanto occorre per portare le tecnologie verdi agli stessi livelli di costo di quelle tradizionali; dall’altro, sul breve, l’unico modo di difendersi, rispetto a Paesi che decidono di rimanere più leggeri, è quello di imporre dazi “green”. Queste politiche rischiano però di essere pericolose in un quadro di guerre commerciali e di incontrare ritorsioni costose.
I future sui principali indici azionari americani partono bene. Il rally del 2016, dopo la vittoria di Trump, è ancora vivo nella memoria di molti investitori. Il mix di taglio delle tasse e attenzione alla “corporate america” è un fattore positivo.
Al momento invece rimangono sullo sfondo le vicende geopolitiche che potrebbero stravolgere quello che si sta vedendo in queste ore. I temi sul tavolo sono almeno tre, la guerra in Ucraina, le tensioni tra Iran e Israele e le pretese cinesi su Taiwan. È possibile che l’arrivo di un nuovo Presidente abbia un effetto “calmante” sul breve termine con gli attori che aspettano di vedere se ci siano cambi di programma. La geopolitica rimane comunque il maggiore elemento di incertezza nei prossimi mesi.
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