Non ha torto c’è chi sta ironizzando sull’euforia ennesima della sinistra italiana per un’affermazione elettorale di una sinistra europea: giovedì in Gran Bretagna (vittoria a valanga del Labour); stasera – secondo i pronostici – in Francia per la “resistenza” del Nuovo Fronte Popolare contro il Rassemblement National.



È nel giusto statistico chi rileva che – in trent’anni di “seconda repubblica” bipolare e non più proporzionale – il centrosinistra ha vinto in modo netto una sola volta: nel 1996 con l’Ulivo di Romano Prodi (dopo la defenestrazione del primo Silvio Berlusconi, grazie anche alle manovre del Quirinale di Oscar Luigi Scalfaro). L’affermazione del 2006 – per 24mila voti al Sud, divenuti subito proverbiali – si rivelò monca nei fatti: già due anni dopo il Prodi 2 dovette gettare la spugna, aprendo la strada al successo elettorale più netto riportato dal centrodestra italiano. E quello del 2008 è stato anche l’esordio horror del Pd: che in seguito non si è mai imposto in misura incontrovertibile in un voto politico nazionale, pur dominando poi largamente nella stanze del governo e della Presidenza della Repubblica (è una vicenda che sul Sussidiario abbiamo riepilogato più volte).



L’ironia sulle “vittorie per procura” intestatesi dalla sinistra in Italia sembra tenersi tuttavia lontana – forse intenzionalmente – dai tentativi di analisi politica quando dimentica un passaggio fondamentale: l’Italia il suo “Nuovo Fronte Popolare” lo ha avuto, in anni recentissimi. La coalizione fra M5s e Pd ha addirittura governato il Paese dal settembre 2019 al febbraio del 2021.

Cos’è stata infatti la maggioranza demo-grillina se non un “Nuovo Fronte Popolare”? Un caso non così dissimile da quello francese odierno: un cartello elettorale d’emergenza di forze politiche perdenti alle elezioni europee. In Italia, nel 2019, il “ribaltone” chiamato dalla presidenza della Repubblica “dem” (pur non dotata dei poteri del presidente francese e minoritaria sia nelle urne che in Parlamento) ebbe come fine quello di contrastare l’avanzata elettorale del centrodestra: che la Lega, in particolare, puntava a replicare dal voto europeo a elezioni politiche nazionali anticipate. In Francia la tecnicalità istituzionale appare opposta (è stato l’Eliseo a usare l’arma del voto anticipato), ma la dinamica sostanziale non è diversa. E se il ribaltone italiano fu operazione subalterna a potentati europei che allora erano ancora tali (erano gli stessi che avevano cacciato Berlusconi da Palazzo Chigi nel 2011), nel 2024 il liberale francese Macron e il socialdemocratico tedesco Scholz stanno facendo dell’eurocrazia di Bruxelles in transizione il quartier generale della loro resistenza personale e politica.



Le coincidenze fra il caso italiano e quello francese non sono poche: compreso il Trattato del Quirinale che l’Italia di Sergio Mattarella e la Francia di Emmanuel Macron siglarono nel 2021, quasi a cementare un’alleanza “democratica” fra Roma e Parigi. Poi, però, quelle forze sono state sconfitte ovunque: in Italia alle politiche 2022 e alle europee 2024; in Francia in modo drammatico per Macron, rieletto a fatica nel 2022 e poi battuto sonoramente nel voto per Strasburgo e anche al primo turno delle legislative anticipate.

Nel frattempo in Italia, il “Fronte Popolare dem-grillino” si è sciolto come neve al sole già con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. E non prima di aver lasciato al Paese un’eredità politico-finanziaria pesantissima come il superbonus (cui solo il dialogo fra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen sta mettendo una pezza in queste settimane). Il “campo largo” a sinistra resta intanto un chimerico feticcio elettorale: buono solo per recriminare sulle immancabili vittorie mancate. O per festeggiare i successi altrui.

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