Caro direttore,
la forza e la natura pressoché sconosciuta del virus-nemico avrebbe dovuto suggerire di aumentare i momenti di confronto e di dialogo, invece si è imboccata la via opposta. Per inverso, avendo preso la strada dell’accentramento decisionale, è apparsa subito evidente l’estrema difficoltà a far emergere soluzioni condivise: appena un provvedimento era anche solo annunciato, subito si levava una molteplice e trasversale batteria di voci contrarie. Il tasso di non condivisione delle scelte politiche ha raggiunto i livelli massimi per cui è emerso un caos istituzionale e politico senza precedenti nel quale ogni pezzo dello Stato (Governo, Regioni, Comuni e Istituzioni varie) ha viaggiato per conto suo e spesso in contrasto con gli altri pezzi. La situazione appare ben descritta dalla metafora di S. Kierkegaard quando scrive: “la nave è ormai in mano al cuoco di bordo e quello che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.
Nel nostro Paese, nell’attuale crisi abbiamo assistito e ahinoi assistiamo ancora, a un processo di verticalizzazione accelerata delle decisioni, con un Parlamento praticamente sparito, che non ci sta portando da nessuna parte. Bisognava e bisogna decidere in fretta e quindi, innanzitutto da parte del Governo, si è accentrata ogni decisione arrivando anche a limitare con forza molti ambiti di comportamento individuali e plurali. Questi mesi, invece, dopo qualche settimana di naturale reazione alla nuova situazione, dovevano rappresentare una grande opportunità per affrontare (e magari provare a risolvere) alcuni gap storici emersi in tutta la loro attualità e urgenza. Un’occasione persa? Speriamo di no!
La verticalizzazione decisionale in salsa statalista, dimenticando che l’Italia è il Paese dei mille campanili e delle mille differenze, ha prodotto un ulteriore danno: ha tentato di imporre soluzioni nazionali e uniformi su tutto il territorio nazionale. Eppure la nostra storia avrebbe potuto insegnare qualcosa. Il boom economico italiano, lo sviluppo e il benessere che abbiamo conosciuto dagli anni ’60 in poi è stato costruito da una pluralità di soggetti: milioni di imprese e famiglie diverse tra loro per ceto e per appartenenza sociale e geografica, che ne ha rappresentato per oltre 50 anni il vero punto di forza. Ogni territorio della nostra penisola ha avuto e ha caratteristiche e peculiarità uniche e particolari al tempo stesso. Questa spina dorsale, questa grande energia creativa è stata compressa e trattata uniformemente (sul modello dei ‘tagli lineari’ propri di tutte le politiche che non conoscono e non sanno decidere) in nome dell’emergenza da fronteggiare: e con molti soggetti di questa ‘energia’ come il Terzo Settore praticamente ignorato dall’accentramento decisionale. Ma adesso, sappiamo che, terminata l’emergenza sanitaria, arriverà una crisi economica e sociale senza precedenti: crollo della produttività, disoccupazione e povertà diffusa saranno le prossime compagne di un percorso che si preannuncia drammatico. Come dobbiamo prepararci?
Per affrontare la crisi che incombe sul nostro Paese occorrerà partire dall’Italia migliore vista dal basso: la forza del sistema paese è sempre stata, ed è tuttora, nella molteplicità e nella vitalità di tantissimi soggetti diversi tra loro ma capaci di costruire, di innovare, di produrre e distribuire ricchezza. Le capacità, le competenze, la voglia di fare sono delle persone che vivono nella realtà sociale dei nostri territori. Manovre economiche e provvedimenti del Governo e delle Istituzioni dovranno guardare a questi soggetti, dovranno essere fatte con loro e per loro, perché senza le reti di questa imprenditorialità diffusa (un’imprenditorialità sociale, economica ed ideale) non sarà possibile alcuna ripresa.