Tra i tanti ‘miseri’ della biologia umana e della scienza in generale uno dei più irrisolti riguarda la memoria, con i particolari processi che la regolano e che, per quanto simili tra tutti gli esseri viventi (animali inclusi), formano un corpus unico e irreplicabile. Sul funzionamento della mente si sono interrogati i grandi pensatori e filosofi del passato, che hanno lasciato poi lo spazio ai ricercatori, ai neurologi e agli scienziati; ma la comune è che mai nessuno è riuscito a comprendere veramente fino in fondo come funzioni la memoria, forse anche a causa degli ovvi limiti etici nel cercare risposte sul cervello delle persone.
Seguendo un interessante articolo del Foglio, facciamo un passo indietro a quella che oggi è forse una delle definizioni migliori per la memoria, postulata da Daniel Siegel nel 2013 e che vuole che sia un “insieme di processi con cui gli avvenimenti della nostra vita possono influenzare il cervello in modo tale da alterarne la sua attività“. In altre parole, secondo questa ipotesi si tratta del modo con cui il nostro cervello si regola a quello che ci accade nel quotidiano, sviluppando determinate competenze a scapito di altre ‘inutili’.
Il mistero della memoria: come funzionano i ricordi
Memoria e cervello, insomma, sono le due facce di una medaglia piuttosto simile e numerosi studi nel corso degli ultimi anni hanno rilevato che, non a caso, i ricordi non si fissano immediatamente nella mente, ma possono farlo solamente se sottoposti a stimolazione continua (biologicamente le sinapsi consolidano il loro collegamento formando un ricordo più o meno stabile): differentemente, se mentre un ricordo si sta formando il cervello viene sottoposto ad uno stress, quello molto probabilmente verrà cancellato dalla memoria per lasciare spazio ad altre informazioni, presenti o passate.
Fermo restando che i ricordi si formano, si cancellano e si riscrivono in continuazione, un interessante studio del 2020 ha scoperto che la nostra memoria è ricca di ‘falsi’ ricordi, costruiti ad hoc in base alle esperienze passate vissute, alle attese che si avevano di un determinato evento e, soprattutto, ai propri desideri. I tassisti per esempio – ha scoperto una ricerca londinese del 1999 – hanno tendenzialmente un ippocampo (che immagazzina le informazioni spaziali sulle strade e sulle città, tra le altre cose) più sviluppato di un qualsiasi altro civile, proprio perché la flessibilità della memoria gli permette di dedicare più funzioni cerebrali a quella che, per loro, è una cosa di vitale importanza: ricordarsi le strade.
Cosa c’entrano i sogni con la memoria: secondo degli studi è l’auto salvataggio dei ricordi
Ora, però, una volta capito che la memoria è una questione estremamente variabile che dipende da una miriade di fattori differenti, rimane ancora un importante ‘mistero: cosa sono i sogni e a cosa servono, due domande che quasi certamente moltissimi si saranno fatti almeno una volta. Secondo diversi studi, il legame tra i sogni e i ricordi è quasi indissolubile perché i primi sono funzionali ai secondi, anche se spesso al risveglia ci sembra di aver sognato un’accozzaglia di eventi del tutto illogici. Durante i sogni, diverse delle informazioni immagazzinate nei giorni precedenti vengono rievocate numerose volte, stimolando quei collegamenti delle sinapsi della memoria di cui parlavamo prima.
I sogni, insomma, possono essere interpretai come una sorta di salvataggio automatico delle informazioni, con il duplice compito di eliminare parte dei ricordi per fare spazio a quelli nuovi. Lo dimostrerebbe il fatto che anche gli animali sognano (si pensi ai cani che corrono nel sonno) e hanno una memoria, stimolata proprio per ricordarsi le nuove minacce scoperte, oppure i luoghi in cui trovare acqua e cibo in abbondanza.