Il mistero dell’agenda rossa di Paolo Borsellino rappresenta un mistero da trent’anni. Parliamo dell’agenda che il giudice ucciso nella strage di via D’Amelio portava sempre con sé. Dopo l’attentato di Cosa Nostra, però, non è mai stata ritrovata.

Secondo quanto ricostruito dai collaboratori del simbolo antimafia, Borsellino nell’agenda rossa aveva iniziato a scrivere una serie di appunti, anche se non è mai stato reso noto che tipo di scritti. Il fratello del giudice, Salvatore, ha sempre affermato che “c’era qualcuno che aspettava per farla sparire e per impadronirsene”. L’agenda, dunque, sarebbe stata sottratta per gestire i ricatti incrociati con i nomi: “Una scellerata congiura del silenzio che è durata per venti anni”, le sue parole riportate recentemente dai colleghi di Adnkronos.



Il mistero dell’agenda rossa di Paolo Borsellino

L’agenda rossa di Borsellino è stata citata a più riprese nella sentenza di primo grado del processo “Borsellino quater”. I giudici, infatti, hanno parlato di connessione in riferimento ai collegamenti tra il taccuino scomparso e il depistaggio di Stato nelle indagini dell’attentato di via D’Amelio. Il depistaggio era iniziato subito dopo la strage, con l’obiettivo di creare prove false “con una sorta di “fonte” della Polizia capace di fornire notizie, anche vere, da mettere in bocca al “pupo” Vincenzo Scarantino”.L’ex questore palermitano Arnaldo La Barbera ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni ed è stato anche coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa. Ma non è tutto. Come ricordato da Adnkronos, nel 2010 era emerso che La Barbera era stato affiliato al Sisde dal 1986 al 1988. Ma la collaborazione era proseguita anche dopo il 1988: La Barbera “era un protagonista assoluto dell’intera attività di depistaggio nelle indagini su via D’Amelio”, secondo la Procura nissena.



Resta ancora da capire cosa conteneva il taccuino. I giudici hanno spiegato che “è lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento”. Una cosa è nota, ovvero che il giudice antimafia il 19 luglio 1992 – giorno della strage – aveva con sé l’agenda rossa, nella sua borsa, come confermato dalla moglie Agnese Piraino e dal figlio Manfredi. Nella ventiquattro ore, però, nessuna traccia: solo un costume da bagno, gli occhiali da sole e altri effetti personali. A denunciarne la scomparsa furono i suoi familiari, supportati dal giudice Antonino Caponnetto.