Martedì 24 aprile 1985 si apre una grande telenovela italiana, che, se sceneggiata adeguatamente, avrebbe un successo maggiore delle telenovele che ci piombano dall’America direttamente sul televisore. Bruno Visentini, grande borghese veneto, repubblicano, spirito libero che non risparmia critiche severe anche agli amici, battezzerà tutta la storia in questo modo: “Quer pasticciaccio brutto de via Veneto”. Visentini ricorre a Gadda, l’autore del “pasticciaccio” di via Merulana, per sintetizzare quello che è avvenuto nella sede dell’Iri di via Veneto a Roma.
L’oggetto della storia è l’ormai conosciutissimo, mediaticamente, “caso Sme”. Certo, conosciuto superficialmente, oggetto di “duelli” giudiziari, ma mai approfondito con grande cognizione di causa e mai ricostruito nei suoi dettagli cronistici e di lotta aperta tra i poteri della Repubblica.
Che cosa è la Sme? È una finanziaria dell’Iri, che ha in “pancia” i più bei marchi dell’industria alimentare italiana. In quel 1985, dopo una serie di finanziamenti statali, la Sme è ritornata a fare utili e pare risanata. Certo, non è il massimo per un grande Paese industrializzato come l’Italia, avere una sorta di “panettone di stato” o di “passata di stato”. La necessità di una privatizzazione c’è ed è accettata da tutti. Si tratta di farla bene e in modo tale da non “svendere” per fare cassa al più presto e a ogni costo.
Dunque, martedì 24 aprile 1985, improvvisamente per la prima volta, si sente concretamente l’aria delle privatizzazioni anche in Italia. Ma si sente con un profumo da “romanzo giallo”. Infatti il presidente dell’Iri, Romano Prodi, informa il comitato di presidenza della possibilità di privatizzare la Sme senza però specificare l’acquirente. Appaiono subito due stranezze della vicenda: 1) la privatizzazione non è all’ordine del giorno del comitato di presidenza dell’Iri; 2) non si capisce perché non si parli dell’acquirente.
Tanto più che domenica mattina 29 aprile 1985, in un luogo milanese dove si lavora sempre, anche a Natale e a Capodanno, cioè nella sede di Mediobanca nell’allora via Filodrammatici, c’è una riunione a tre: Enrico Cuccia, Carlo De Benedetti e Romano Prodi. Non è una riunione informale o una discussione preliminare, ma una riunione operativa dove viene firmato un contratto di vendita. La Buitoni-Perugina di Carlo De Benedetti rileva dall’Iri il 31% della Sme versando in 18 mesi 397 miliardi di lire, mentre il restante 13% in portafoglio all’Iri viene acquistato per 100 miliardi di lire.
Nonostante la riservatezza dell’affare, l’operazione esce sui giornali e provoca immediatamente reazioni durissime. Il più violento è Valentino Parlato su “Il Manifesto”, ma non scherzano neppure l’allora comunista Giorgio Napolitano e, appunto, il repubblicano Bruno Visentini. Si parla apertamente di “svendita”. Formalmente, il presidente del Consiglio dell’epoca del 1985, Bettino Craxi, apprende tutto dalla ricostruzione dei giornali. Craxi ascolta le valutazioni dei tecnici, consulta uno dei sottosegretari economici, Francesco Forte, e quindi va a una riunione del Consiglio dei ministri piuttosto agitata.
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Il ministro alle Partecipazioni Statali dell’epoca, il democristiano Clelio Darida, dapprima tentenna perché è incalzato dal suo segretario politico, Ciriaco De Mita, che sponsorizza la vendita a De Benedetti. Ma alla fine anche Darida si schiera con Craxi e si decide di respingere l’offerta, per la “non congruità del prezzo”. E c’è un invito a Prodi a considerare anche le altre offerte che, nel frattempo, sono arrivate.
Dapprima si presenta l’avvocato Italo Scalera, con una offerta di 550 miliardi di lire, per conto di anonimi, contro i 497.159.500.000 sottoscritti in Mediobanca. Poi si presenta la cosiddetta Iat Srl. formata da Barilla-Ferrero- Fininvest (Berlusconi) con 600 miliardi di lire, così come la Lega delle Cooperative. L’ultima che arriva è quella di un personaggio che meriterebbe una storia a parte: si chiama Giovanni Fimiani, titolare della Cofima Spa, che offre 620 miliardi di lire.
Ma il problema delle altre offerte, in quel 1985, si pone per poco tempo, perché quando il ministro Darida non firma, Prodi disconosce il contratto con De Benedetti e si rimangia tutto. A questo punto entra in causa la magistratura, chiamata direttamente da Carlo De Benedetti, che si considera parte lesa. Siamo solamente alle prime puntate della telenovela, perché l’incredibile storia, che comincia nell’aprile 1985, occupa procure e tribunali fino all’inizio degli anni Duemila, con colpi di scena a ripetizione dove tra mandati di comparizione e rinvii a giudizio, nonché processi, ne arrivano a “millanta che tutta notte canta”.
Tutto questo retroscena giudiziario potrebbe, apparentemente, anche non servire a spiegare le ragioni di una tentata privatizzazione, che viene disinnescata per “non congruità del prezzo”. Ma in realtà, questo retroscena apre il capitolo delle privatizzazioni italiane, serve a comprendere quali colossali interessi si nascondevano nel processo di smantellamento dell’Iri.
Passiamo quindi al 1993, esattamente al 7 gennaio del 1993, quando l’Iri, alla cui presidenza c’è Franco Nobili, decide di privatizzare la Sme in “modo pubblico” e in modo scorporato in tre parti: Italgel; Cirio-Bertolli-De Rita (Cbd) e GS Autogrill. Per la Cbd, scaduti i termini per l’offerta, sono in lizza Eridania-Ferruzzi, Parmalat, Cragnotti, Granarolo, Unilever. Guarda caso, in pieno periodo di tangentopoli, il 15 maggio 1993, ritorna Prodi in via Veneto a sostituire Nobili.
Quella gara sembra una saga che è quasi impossibile ricostruire. Alla fine, dopo una giostra di passaggi, la Bertolli passa all’Unilever, il signor Lamiranda cede al signor Cragnotti la sua quota della Sagrit, la Cirio va definitivamente a Cragnotti. Per capire tutta questa baraonda, basta pensare che il 24 febbraio 1996, il professor Romano Prodi, diventato nel frattempo leader dell’Ulivo, riceve un mandato di comparizione per abuso di ufficio dal sostituto procuratore di Roma, Giuseppe Geremia, sulla privatizzazione della Cirio. E il 25 novembre del 1996, il Pm chiede il rinvio a giudizio. Poi finirà in gloria con l’assoluzione di tutti.
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Ma se prima c’era la Sme avvolta in un “romanzo giallo”, ora ci sono singole parti della Sme a essere sempre capitoli del racconto giallognolo. Se la Cbd sembra una giostra, l’Italgel offre subito altri spunti di polemica e di code giudiziarie. Alla fine se la porta a casa la Nestlè, con una trattativa privata a 680 miliardi di lire, mentre la valutazione iniziale era quella di 750 miliardi di lire. C’è infine da rimarcare l’affare GS Autogrill. Qui entra il gruppo Benetton con una spesa di 740 miliardi di lire. Nel giro di tre anni, il gruppo Benetton si disfa dei settori GS supermercati che vengono comperati dalla francese Carrefour alla “piccola” cifra di 5mila miliardi di lire.
Mentre al gruppo Benetton resta la proprietà di Autogrill, Pavesi, Ristorante Ciao, Motta e Alemagna, oltre che di altre aziende e immobili per un valore di 1500 miliardi di lire. A conti fatti, la cosiddetta cordata Benetton realizza oltre 5000 miliardi di lire, secondo i calcoli della procura di Perugia e quella di Salerno. Insomma, un affaruccio andato bene per la famiglia di Ponzano Veneto.
Tutta la questione della privatizzazione della Sme ebbe un eco internazionale. Anzi, ne parlò di più il “Daily Telegraph” inglese che i giornali italiani. Che cosa scrisse il Telegraph? Questo: “Romano Prodi aveva ricevuto nei primi mesi del 1994, su un conto corrente bancario non conosciuto, versamenti per circa 4 miliardi di lire a favore di una società di consulenza, l’Ase (Analisi e studi economici) – di cui era titolare assieme alla moglie Flavia – da parte della multinazionale Unilever e della banca d’affari americana Goldman Sachs"”. Che di privatizzazioni, italiane, se ne intendevano.
Difficile fare una valutazione, dall’inizio alla fine, del “caso Sme”. Il putiferio è grande ancora oggi, persino in una fase pre-storica. Un fatto è certo, dimostrabile con le cifre. Se l’Iri di Prodi del 1985 avesse venduto a De Benedetti, tutta la Sme in blocco, lo Stato italiano avrebbe incassato poco meno di 500 miliardi di lire. Con lo “spezzatino” proposto e realizzato dall’Iri di Franco Nobili, lo Stato alla fine ha incassato complessivamente 2030 miliardi di lire. Fatto questo positivo. Bisogna aggiungere che però anche la privatizzazione dello “spezzatino” Sme, pensata da Nobili, viene realizzata da Prodi, tra molti contrasti e qualche dubbio. Con qualche arricchimento di alcuni.
Siamo in piena tangentopoli. Nobili finirà in galera e ci resterà per due mesi, salvo poi essere assolto “perché il fatto non sussiste” nel 2000. Prodi diventerà invece il “paladino” della nuova sinistra italiana.
(2- continua)