Con la sentenza di ieri si chiude il caso giudiziario di Cospito. La condanna definitiva mette la parola fine alla storia giudiziaria di un uomo che deciso di immolarsi sulla via delle sue aberranti convinzioni fino al punto di fungere da megafono delle istanze di abrogazione del 41bis di altri detenuti per mafia.

La sua vicenda ha fatto rumore per questo. Più che per i motivi reali della sua incarcerazione. Cospito ha agito nel nome di idee che hanno lasciato una lunga scia di sangue e che sembravano relegate a un’era storica antica. Sennonché in queste settimane anche un’altra vicenda, quella di Ilaria Salis, ha rimesso al centro il tema della violenza politica e delle conseguenze che ne derivano. Lei incarcerata, in catene in una prigione straniera, lui messo in un regime di massima sicurezza dal nostro Stato. Lei che si candida per uscirne, lui che rivendica la sua assoluta estraneità a qualunque forma di organizzazione statale. Insomma, due storie politiche antitetiche ma unite da atti violenza, presunti o accertati, che hanno una radice politica.



Nel pendolo della storia entrambi sembrano del tutto estranei alla modernità che ha perso le infiammate masse politicizzate che per un decennio hanno squassato il mondo negli anni 70. Ora che Cospito avrà solo da scontare la sua pena c’è attorno a lui un magma informe di gruppi che lo vedono vittima del sistema, così come la Salis viene vista, da molti di più, come vittima di un regime straniero ingiusto.



Pare che stia ritornando in qualche forma quella divaricazione nella società tra destra e sinistra radicali con al centro una massa consistente e pragmatica di popolo che vede questi temi con misto di incomprensione e spavento. Che si sia alla viglia di una nuova stagione di conflitto sociale basato su ragioni politiche non è escluso. Per ora i sintomi ci sono.

La guerra in Ucraina e quella in Palestina hanno tifoserie unite da improbabili convergenze. Esse fanno saltare steccati che hanno resistito per decenni e oggi, ancora di più, la violenza giovanile entra nelle case anche attraverso i social. Il disagio giovanile usa la violenza nelle strade senza avere ancora un’identità politica ed esiste e resiste proprio in quelle periferie da dove un tempo la violenza politica si generava. Il rischio che si “politicizzi” o si radicalizzi esiste. Perciò la condanna di Cospito, mentre è un epitaffio sulla sua storia giudiziaria con tutto quello che consegue, può essere anche un momento di ripresa di quel mondo che ha inseguito la violenza nella politica come metodo.



Un buon momento di verifica sarà la quantità di voti che la Salis avrà. Se le sue gesta le varranno un seggio e se si coagulerà attorno a lei un consenso che, volendole offrire la possibilità di uscire da un carcere infame, indirettamente le “perdonerà” le presunte violenze, sarà un segnale. Qualcosa che non si vedeva dai tempi di Toni Negri, per fortuna, una riedizione di evento che mancava da oltre quarant’anni e che rischia di far riemergere, in un momento complesso e di grande divisioni nel Paese, la tentazione di usare la violenza per far vincere le proprie idee. Bisogna vigliare.

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