Il Dap, per esteso Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, non è un dipartimento qualsiasi. Se mai vi capitasse di essere al 41bis sappiate che quel particolare servizio ascolterà ogni vostra parola. Anche i colloqui riservati con i legali, l’ora d’aria, i momenti con i rari visitatori sono monitorati e registrati. I colloqui, vagliati e analizzati, inviati al ministro della Giustizia e all’autorità giudiziaria. Un flusso di informazioni, notizie, umori che speso contengono fatti utili e rilevanti. A volte messaggi. Indirizzati a chi sappia leggerli.



Appare dunque chiaro che chi ha interloquito con Cospito, come riportato da varie testate, spingendolo a proseguire nella sua “battaglia”, incitandolo con il riferimento ad “altre cose che si stanno muovendo”, sapeva bene che quei colloqui avrebbero avuto una trascrizione e sarebbero stati analizzati e verificati. Il 41bis è nel mirino di tanti detenuti definitivi, che mantengono una caratura di leader criminale, e sanno che Cutolo, Riina e Provenzano non hanno messo piede fuori dalle carceri neppure quando gravemente malati. Intestare a loro la battaglia contro il 41bis non porterebbe a nulla. Un boss accetta, come può, il regime carcerario, non può mostrare debolezza. Può però provare ad utilizzare le battaglie di altri. E far capire a chi di dovere a cosa mirano. Se tutto lo si collega alle ricostruzioni sulla cattura di Matteo Messina Denaro, si capisce quanto quel materiale fosse rilevante. La domanda è: perché quelle notizie sono uscite dalle stanze riservate e tecniche in cui erano custodite?



I casi sono due. O si è trattato della leggerezza più incredibile nella storia dei servizi di sicurezza, o si è usata una leggerezza studiata per rispondere a quei messaggi.

È perciò necessario che la risposta arrivi nelle sedi opportune, oltre che nelle aule pubbliche, perché la partita potrebbe essere più raffinata di una gaffe. Potrebbe. Perché non è escluso che le confidenze tra i coinquilini Delmastro e Donzelli siano la causa di questo incredibile svarione istituzionale. Nel raccontarsi la giornata, del resto, può capitare di parlarsi di cose di lavoro senza rendersi conto di ciò che si fa. Ci sono però regole precise per stare su certi tavoli e va valutato se siano state rispettate. E una fuoriuscita di notizie così candidamente ammessa non pare sposarsi per nulla con la necessaria cautela e riservatezza che il ruolo impone.



Che poi il destinatario delle informazioni le usi e lo rivendichi, senza avvedersi del vulnus, imporrebbe anche su quest’ultimo una valutazione. Stare zitti e non parlarne non è un bene. Perché si deve capire se è chiaro proprio a quei soggetti il motivo per cui si chiamano “segreti” e comprendere se siano stati loro in grado o meno di saper maneggiare questo materiale.

Se invece tutto questo non è un caso di non corretta gestione delle informazioni, allora la vicenda ha tutto un altro sapore. Un sapore amaro, perché fa intendere che dietro una partita politica contro il Pd si cela un altro messaggio. Un messaggio di risposta a quelli che chiacchieravano in cortile. Potrebbe essere. Ma sarebbe una reazione poco meditata.

Per questo il caso va portato fino in fondo, ne vanno compresi beni i meccanismi e ricostruiti i passaggi. Va data una chiara lettura dei fatti ben oltre le dichiarazioni dei protagonisti. Il Paese ha diritto di sapere da chi lo governa, dalla Meloni per intenderci, se chi ha veicolato le informazioni non ne ha compreso la delicatezza o se ha agito in un contesto di condivisione politica con la leader. E le conseguenze sono o l’assunzione politica dell’attacco al Pd, con il corollario di riaffermare la posizione sulla permanenza del 41bis, oppure prendere atto che vi sono stati degli errori, delle inopportunità e porvi rimedio.

Nel primo caso le accuse andranno provate, se possibile, nel secondo il potere di capo partito e di capo del Governo andrà esercitato individuando profili nuovi che rimedino a quello che si configurerà come un errore. Senza evocare Matteotti, o il presidente del Consiglio si assume in aula la responsabilità politica delle affermazioni più gravi, o ne prende le distanze. Tacere non può più. Ci sono tanti, troppi in ascolto. Non solo quelli del Dap.

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