La Corte Costituzionale ha esaminato la questione incidentale di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’assise d’appello di Torino sul “caso Cospito”, aprendo a uno sconto di pena, ma con la sa decisione non ha inciso sul 41bis. Ha invece ribadito quanto afferma costantemente su di un altro punto. Ovvero che, secondo la Corte, il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare senza vincoli l’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dai primi tre commi dello stesso art. 69 del codice penale e che, conseguentemente, il giudice di merito dovrà valutare, caso per caso, se applicare la pena dell’ergastolo oppure, laddove reputi prevalenti le circostanze attenuanti su quelle aggravanti, potrà applicare una diversa pena detentiva senza essere obbligato a seguire alcun automatismo.



Nella formulazione vigente, infatti, l’art. 69 comma 4 c.p., a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 3 della legge n. 251/2005, relativamente al delitto punito dall’art. 285 c.p., prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 311 c.p. (ovvero la circostanza che il fatto sia di lieve entità) sulla recidiva di cui all’art. 99 comma 4 c.p. (ovvero che il reo sia già stato condannato in altri giudizi).



Come detto, nulla di nuovo. Più volte la Corte ha precisato che l’apprezzamento “caso per caso” del giudice è un presupposto necessario per l’applicazione della pena. Questa pronuncia, giova ribadirlo, non incide in via diretta sul regime carcerario a cui Cospito è relegato, il 41bis, tenuto conto che la determinazione sul punto resta appannaggio delle diverse autorità che valutano in quale regime vada scontata la pena detentiva. In sostanza, Cospito resta al 41bis.

Può invece, la decisone, portare il giudice di merito a determinare la pena in una gradazione diversa, ad esempio non applicando l’ergastolo, ma comminando una pena detentiva a termine e con essa tutti i meccanismi di “agevolazione” che invece un ergastolo non può avere.



Si può anche aprire la strada ad una complessiva rivalutazione nel merito delle azioni di Cospito, ma resta il fatto che le eventuali verifiche in ordine alla capacità di Cospito di proseguire nel suo presunto ruolo di punto di riferimento dei gruppi che a lui guardano nel mondo anarchico è circostanza che andrà accertata e valutata secondo quanto sino ad ora accaduto.

Insomma, il castello del 41bis resta intatto nella sua struttura e nella sua finalità; può cambiare per Cospito la pena da scontare, applicando nel merito i principi di diritto dello Stato, ma la struttura, la sua finalità e la sua applicazione restano invariate.

Resta la notazione a margine rispetto al fatto che il sistema statuale corregge se stesso ristabilendo e ribadendo un principio a favore proprio di chi, per aspirazione, vorrebbe abbatterlo. Cospito, come ogni cittadino soggetto alla legge, ha diritto che gli vengano applicate le norme ed i principi validi per ciascuno di noi. Che sia giudicato secondo legge e secondo i principi costituzionali proprio per ribadire che la forza dello Stato risiede nel suo essere attore neutrale ed equo ogni qual volta è chiamato ad applicare regole e pene prescindendo da giudizi di merito su chi ne sia, anche indirettamente, beneficiario.

Perciò la pronuncia della Corte Costituzionale rileva nel caso Cospito proprio per il suo essere un’ordinaria pronuncia che ribadisce un principio (come espressamente richiamato nel testo della sentenza) ampiamente già applicato a tutti i cittadini. E, tra questi, ci sono anche i suoi nemici, che lo Stato di diritto deve trattare con uguale attenzione senza che mai prevalga la voglia di vendetta sulla necessità di applicare la legge. Come la pronuncia testimonia.

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