Si era già scoperto lo scorso marzo che il Covid-19 era giunto in Italia per due vie diverse fra loro, la Cina e la Germania. Un nuovo studio pubblicato alcuni giorni fa da un team internazionale guidato da Massimo Ciccozzi (lo stesso studioso che aveva fatto lo studio citato), responsabile dell’Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, con Davide Zella dell’Istituto di Virologia umana del Maryland, Usa, e Marco Salemi dell’Università della Florida, ha stabilito che nel nostro paese il coronavirus Sars-CoV-2 si è diffuso in Italia attraverso ben “13 diversi ceppi virali”. Non solo: a favorire la ripresa del virus dopo l’estate sarebbero stati soggetti superdiffusori insieme a “microfocolai locali di cui si è perso il controllo”. Del team ha fatto parte anche la dottoressa Marta Giovanetti, Visiting professor all’Università Campus Bio-Medico di Roma e ricercatrice presso la Fondazione Oswaldo Cruz del Brasile, a cui abbiamo posto alcune domande. “Il nostro studio indica che è necessario mantenere il monitoraggio attivo anche dei piccoli focolai epidemici al fine di rendere plausibili le politiche di contenimento della pandemia”.



Da cosa ha preso spunto il vostro studio?

Il nostro studio è nato dalla necessità di comprendere e fornire informazioni utili per elucidare i principali meccanismi di trasmissione e diffusione del Sars-CoV-2 in Italia durante le due ondate epidemiche. Il nostro principale obiettivo è stato realizzare una analisi comprehensive che potesse permetterci di raccontare gli 11 mesi di epidemia italiana.  



Su cosa vi siete basati per ottenere il risultato? Come siete risaliti a 13 ceppi virali tutti provenienti dall’estero? Da che paesi in particolare?

Ci siamo basati sull’analisi in deep dei 714 genomi completi del Sars-CoV-2 disponibili al 31 ottobre 2020. Le analisi realizzate ci hanno permesso di identificare che 13 diversi lignaggi del Sars-CoV-2, in gran parte legati a introduzioni esterne (mobilità umana), sono circolati e co-circolati durante la diffusione epidemica precoce. Questo ci ha permesso di identificare che piccoli reservoir “nascosti” avrebbero invece favorito la diffusione del virus su scala regionale a partire dall’estate 2020.



Come è stato possibile si diffondessero?

Il nostro studio ci ha permesso di dimostrare che le politiche di distanziamento sociale possono avere una efficacia limitata, se non fermiamo i piccoli cluster locali, dalle dimensioni poco più che famigliari, che tengono in vita la pandemia. 

La seconda ondata è stata colpa di una mancata osservazione delle norme di sicurezza? Le istituzioni non sono state in grado di tracciare i focolai?

Non abbiamo affermato che è stata colpa nostra, abbiamo suggerito che è necessario mantenere il monitoraggio attivo anche dei piccoli focolai epidemici al fine di rendere plausibili le politiche di contenimento della pandemia, basandoci sul principio per il quale “non possiamo ritenerci davvero liberi dal virus fino a quando tutti non lo saremo”.  

I piccoli cluster vengono definiti “bombe a orologeria”. Secondo lei gli italiani non hanno coscienza di questo? Di chi è la responsabilità, se è così?

L’emergenza del Sars-CoV-2 che ha letteralmente messo in ginocchio il pianeta ha permesso alla popolazione globale di comprendere quanto di fatto questo tipo di battaglie si vincono in laboratorio e quanto in questo senso lo sforzo e la cooperazione internazionale degli scienziati siano imprescindibili. Considerando questa lezione, credo quello che abbiamo vissuto ci dia l’opportunità di comprendere quanto sia fondamentale proteggersi per proteggere l’intera popolazione.   

Da tempo si dice che le famiglie sono focolai pericolosi, dove i membri del nucleo facendo ognuno un percorso giornaliero diverso alla sera si ritrovano tutti in casa, con il rischio di diffondere il virus. È questo l’attuale rischio? Come fare per evitare il diffondersi del contagio? Tornare al lockdown totale della scorsa primavera?

La situazione attuale è sicuramente più delicata dello scenario di marzo 2020. Oggi osserviamo di fatto quadri clinici molto diversi, tra questi gli asintomatici, che possono in qualche senso essere considerati i casi più critici, in quanto in assenza di sintomi sono dei veri e propri “carrier” del virus. In questo senso, l’adozione di misure per proteggere i più vulnerabili dovrebbe davvero essere l’obiettivo centrale delle risposte di sanità pubblica al Covid-19. 

 Come riorganizzare la mobilità generale?

Di nuovo, mi sento di sostenere che senso civico e un grande senso di responsabilità della popolazione generale debbano essere i punti cardini di questo momento storico che stiamo vivendo. È necessario che la popolazione generale comprenda che è altamente improbabile che il virus scompaia da solo. Il virus smetterà di fatto di circolare attraverso due vie: la prima è quella naturale (immunità); la seconda quella artificiale (vaccino). E tutto questo perché di fatto none of us will be safe until everyone is safe! 

 (Paolo Vites)

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