I primi di marzo, quando ancora non erano noti gli effetti devastanti del Coronavirus, il dottor Ruschitzka, a capo del dipartimento di cardiologia dell’ospedale di Zurigo notò tra i sintomi delle persone malate degli strani coaguli di sangue. Nelle settimane successive, la prima vittima di Covid fu sottoposta ad autopsia che rivelò dei gravi danni ai vasi sanguigni, attaccati dal virus. Dopo la diffusione di tali risultati, sono stati avviati numerosi studi che hanno evidenziato la presenza di danni simili in molte altre vittime del Coronavirus. Ad esempio, come riferisce Science, nei polmoni delle vittime di Covid sono stati riscontrati coaguli 9 volte superiori rispetto alle vittime dell’influenza H1N1. Alla luce dei vari riscontri, i ricercatori hanno ipotizzato come mai molti pazienti scivolano in una seconda fase fatale del Coronavirus circa una settimana dopo il ricovero. La risposta è da ricercarsi nel danno delle cellule cosiddette endoteliali che rivestono i vasi sanguigni, soprattutto nei polmoni e che vengono attaccate dal virus che causa così la perdita dei vasi sanguigni e la coagulazione del sangue. Questo provoca poi infiammazione in tutto il corpo alimentando la sindrome da distress respiratorio acuto alla base di molti decessi da Coronavirus. “E’ un circolo vizioso”, spiegano gli esperti.



Tale meccanismo, tuttavia, potrebbe aiutare a far comprendere come mai la malattia colpisce affetti soprattutto da obesità, diabete e patologie cardiovascolari: ciò avviene perchè le cellule che rivestono i vasi sanguigni sono già compromesse. Se così fosse, l’impiego di farmaci usati nel trattamento di tali condizioni potrebbero prevenire l’aggravarsi della malattia in pazienti Covid. “Un vaccino sarebbe fantastico”, ha commentato un cardiologo dell’università di Cincinnati, ma nel frattempo tale terapia potrebbe rappresentare “un buon inizio”.



COVID ATTACCA VASI SANGUIGNI: STUDI E POSSIBILI FARMACI

In base a quanto emerso dai risultati dell’autopsia provenienti dall’ospedale di Zurigo, gli studiosi hanno compreso che le potenzialità del Coronavirus di mandare in tilt l’intero sistema vascolare e non solo. Quando il virus entra nei polmoni intacca le cellule delle sacche d’aria che trasferiscono ossigeno al sangue e che sono rivestite da capillari, danneggiandole. Il danno delle cellule porta ad una coagulazione incontrollata. Alla fine, tali coaguli si diffondono in tutto il corpo e bloccano l’afflusso di sangue agli organi vitali. Si tratta di reazioni a catena che portano ad una fase finale di infiammazione acuta e distruttiva. Così come la coagulazione, anche l’infiammazione rappresenta una sorta di difesa essenziale. Alla luce delle nuove scoperte, gli esperti hanno anche compreso come mai alcuni giovani pazienti si ammalano di Covid-19 in modo così grave: potrebbero avere disturbi della coagulazione non diagnosticati o disturbi autoimmuni, come l’artrite reumatoide, che amplificano gli effetti dell’infezione da SARS-CoV-2.



Alla luce di ciò, tenuto conto dell’importante ruolo delle cellule endoteliali è possibile ritenere che alcuni farmaci già esistenti potrebbero attenuare o addirittura arrestare la seconda fase fatale della malattia. Già le prove che l’infiammazione e la coagulazione giocano un ruolo nel COVID-19 hanno ispirato decine di studi negli Stati Uniti e in Europa sui farmaci anticoagulazione, antinfiammatori e antipiastrinici. Tra gli altri farmaci utili, attualmente ipotizzati, anche le statine. Tipicamente prese per abbassare il colesterolo, riducono anche l’infiammazione e migliorano la funzione delle cellule endoteliali.