La perdita di olfatto e gusto è uno dei primi sintomi del coronavirus. Lo segnalarono nella prima fase dell’epidemia i medici degli Spedali Civili di Brescia, che condussero uno studio a riguardo. Ne hanno realizzato un altro, pubblicato questa settimana sulla rivista scientifica International Forum of Allergy & Rhinology, in cui contestualizzano la prevalenza di questi sintomi, che possono facilitare l’identificazione degli individui infetti. I ricercatori hanno voluto chiarire la prevalenza di questi sintomi nella popolazione, quindi hanno condotto uno studio trasversale dal 27 marzo al 1° aprile nel Nord Italia. I medici hanno somministrato un questionario ai pazienti positivi al coronavirus, concentrandosi su questi due sintomi. Hanno studiato in particolare due gruppi: i pazienti ricoverati presso gli Spedali civili di Brescia e i soggetti in isolamento domiciliare. In totale, sono stati coinvolti 508 pazienti: 295 nel primo gruppo, 213 nell’altro. L’alterazione dell’olfatto è stata riscontrata nel 56 per cento dei casi, quella del gusto nel 63 per cento dei casi.



COVID, 70% INFETTI (IN ISOLAMENTO) CON PERDITA OLFATTO E GUSTO

Nel gruppo A, quello che comprende i pazienti ricoverati agli Spedali Civili di Brescia la prevalenza della perdita dell’olfatto è stata del 44 per cento, quella del gusto del 52 per cento. Nell’altro gruppo invece corrisponde rispettivamente al 72 e 79 per cento. Si evidenzia, dunque, che questi sintomi sono più marcati nelle persone che restano a casa, in isolamento, rispetto a quelli che finiscono in ospedale. Questo vuol dire, dunque, che si tratta di sintomi che caratterizzano il decorso più lieve della malattia di Covid-19. Solo nel 10-11 per cento dei casi questi sono stati i primi sintomi, negli altri casi sono comparsi qualche giorno dopo la comparsa dei primi sintomi del coronavirus. I soggetti coinvolti nello studio hanno dichiarato che questi sintomi sono stati reversibili, nel 52 per cento dei casi per l’alterazione dell’olfatto, nel 55 per quella del gusto. I ricercatori non hanno dunque scoperto solo che la “disfunzione” è prevalente nei soggetti in quarantena domiciliare, ma che compaiono in particolare in soggetti più giovani e di sesso femminile.

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