I dati sono incoraggianti: contagi, decessi e malati in terapia intensiva sono in calo deciso. C’è anche chi dice che il Covid-19 non esiste più. Eppure l’Oms avverte che in Europa il contagio è tornato a crescere e che bisogna prepararsi alla seconda ondata. Per il professor Ivan Cavicchi, docente di sociologia delle organizzazioni sanitarie e di filosofia della medicina all’Università Tor Vergata di Roma, non è esatto parlare di seconda ondata, ma di focolai, che se non vengono tracciati e controllati possono portare a una nuova diffusione: “Mi dà molto da pensare ogni volta che vado in giro vedere come le persone si comportino, come se non fosse successo nulla. Ma non è vero, il virus c’è ancora ed è ancora in giro, è necessaria una campagna sociale di comunicazione perché la gente non permetta all’epidemia di riaccendersi”.
Visto l’andamento di contagi, decessi e malati in terapia intensiva, possiamo dire che in Italia siamo alla coda dell’epidemia?
Penso di sì. Sicuramente c’è un andamento favorevole, un calo dei casi già acuti e questo dimostra anche che gli ospedali hanno imparato a lavorare bene. Siamo in una fase calante.
L’Oms avverte che i contagi in Europa stanno aumentando e che bisogna prepararsi alla seconda ondata. Non corriamo piuttosto il rischio di focolai che scoppiano qua e là per scarso controllo?
Penso che abbia ragione, non credo a una seconda ondata, come evento automatico. Penso che in autunno avremo nuovi focolai, già ce ne sono. Ma se sappiamo gestirli, trattarli tempestivamente, evitiamo la seconda ondata. Con una nuova gestione degli ospedali, con una nuova cura sul territorio speriamo che questa seconda ondata non si verifichi.
In questo senso è necessario che le persone continuino a osservare le regole base. Non le sembra che si è un po’ abbassata la guardia?
Tocca un tasto molto delicato. Ovunque vado, sembra non sia successo niente, che la gente si comporti come si è sempre comportata, ad esempio al mare. Manca circospezione, e questo è un problema grosso, perché il virus esiste ancora e circola. Il virus per sua natura è un opportunista, aspetta l’occasione di svilupparsi. Tutte le evidenze scientifiche ci confermano che c’è. Bisogna rafforzare le campagne di comunicazione sociale, non basta andare in tv a dire di usare la mascherina, occorre mettere in campo un progetto di formazione e di comunicazione che responsabilizzi le persone e le renda coscienti. Il pericolo c’è ancora.
Il Servizio sanitario nazionale con l’emergenza Covid ha dovuto affrontare una sorta di crash test, a discapito di altre patologie, che sono state forzatamente un po’ trascurate. Sarà possibile tornare a una certa normalità? Ci sarà una ricaduta anche in termini di maggiore spesa sanitaria?
Proviamo a immaginare il dopo Covid. Immaginiamo quando avremo il vaccino e saremo al riparo, anche se del tutto non lo saremo mai, perché ci potranno sempre essere casi sporadici. L’effetto sarà una enorme crescita della spesa sanitaria. Da una parte, un problema banale di compatibilità con un Pil che sta a -9%: la vedo dura, questo incremento di costo ricadrà prevalentemente sugli ospedali e sul personale sanitario.
E dall’altra?
Anche nella speranza di ottenere soldi dall’Europa, e lasciamo perdere il Mes, saranno in gran parte dei prestiti. La crescita complessiva del sistema si coniuga male con l’andamento del Pil e con il governo del disavanzo pubblico che sta aumentando. La sanità si troverà in una grave situazione di sostenibilità. A livello governativo ci riempiono di ciance e promesse di riforme che si rivelano solo parole. Ho visto i documenti degli Stati generali e non c’è traccia di un pensiero riformatore. Questi chiedono, rivendicano e contribuiscono alla crescita del costo.
Riapertura delle scuole. Come giudica le linee guida del ministero?
Non giudico, perché non vedo alcuna linea guida. Non sono in grado di giudicare con spazi arbitrari così ampi che lasciano adito a qualunque interpretazione. È tutto molto vago.